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Il chitarrista più veloce della storia è italiano

Maurizio Baiata intervista Davide Lo Surdo

Il collega Maurizio Baiata, firma "storica" del giornalismo musicale italiano, ci ha inviato questa intervista che pubblichiamo molto volentieri, ringraziandolo.


Sei un ragazzo fortunato, perché ti stai proiettando verso altri Paesi e su di te c’è un’attenzione particolare. Come ti senti rispetto ai tuoi coetanei?

Sul fattore sociale, la mia vita è cambiata da fine 2021, quando Rolling Stone Brasile mi ha dichiarato il “chitarrista più veloce della storia”, ma il titolo del “più veloce” esiste da diversi anni. È iniziato tutto da Alice Cooper: tramite il mio precedente management ci misero in contatto, lui riconobbe il record e mi mandò un video per aiutarmi.

Alice è un musicista, un artista profondamente legato all’hard rock e al metal, ma anche alla trasgressione. Il contatto non ti ha sorpreso? 

Non riuscivo a crederci. È stata una delle prime conferme. Mi ha fatto i complimenti per il record e mi ha detto “In caso ci incontreremo un giorno negli Stati Uniti” e questo è accaduto tempo dopo, perché ero già stato in America prima. Diciamo che la definizione del “più veloce” mi è sempre appartenuta. Oggi, il primato si è evoluto… perché quando mi invitarono a suonare al quindicesimo anniversario di Rolling Stone a San Paolo, proprio lo staff della rivista mi fece notare che il precedente record, in base a loro ricerche, era sulle 27 note al secondo mentre io, vincendo il Sanremo Music Awards, ne avevo fatte 129 al secondo. A quel punto Rolling Stone Brasile mi dichiarò “il chitarrista più veloce della storia”. Così l’attenzione mediatica è diventata enorme e tutti gli articoli e i video del primato hanno avuto un riscontro incredibile con quasi 800.000 visite. Questa è una cosa molto positiva. Però, rispetto ai miei coetanei, un po’ penalizza perché è una definizione molto grande che mi ha creato alcune difficoltà nel rapportarmi.

Frequenti l’Università?

No. Ho il diploma in Lingue. Ho avuto difficoltà a finire la scuola perché già a 18 anni andavo all’estero a suonare ed era iniziata una vera e propria professione con la chitarra, quindi ho fatto la maturità, ho preso il diploma e ho continuato a suonare.

Quando hai capito che la musica poteva diventare una professione? 

Tutto ha inizio per gioco, avevo nove anni. Una volta vidi suonare la mia vicina di casa con il suo papà e stavano suonando dei semplici accordi, ma ne rimasi così affascinato che le chiesi: “Dove vai a lezione tu?”. Lei non me lo voleva dire, però le promisi che non ci sarei andato. Allora me lo rivelò e mi iscrissi (hahaha) al corso di chitarra nella parrocchia di Santa Gemma Galgani, qui a Roma. Ero rimasto davvero affascinato dalla chitarra. In un mese e mezzo avevo già imparato gli accordi, ma dopo due mesi di lezioni ero capace di fare dei cambi veloci di accordi. Il parroco, Don Martino, disse a mia madre: “Questo ragazzo ha veramente talento. Fatelo studiare privatamente”. Mamma mi comprò la prima chitarra classica, sono andato da altri insegnanti vicino casa e poi alla Accademia Nomos e nel giro di cinque mesi ero in grado di fare gli spider" (esercizi per allenare la mano, per posizionarla e istruirla) "insomma amavo la velocità… E dopo qualche tempo, so che può sembrare strano, ma il professore disse a mia madre: “Io a questo ragazzo non so più cosa insegnargli tecnicamente” e mi fece studiare teoria.

Chi sono le tue principali influenze sulla chitarra? 

Le mie due ispirazioni più importanti sono state sua maestà Jimmy Page, e Slash dei Guns N'Roses, ma mi piace molto anche Eric Clapton. 

Dove ti sei esibito nel 2022? 

A giugno dell’anno scorso, mi sono esibito per la prima volta in Bolivia in diverse città come La Paz, Cochabamba e Santa Cruz e ho suonato come ospite al programma “El Mañanero” del canale televisivo Red Uno de Bolivia, e al programma “La Mañana de Todos” del canale televisivo “Red ATB”.

Ti sei trovato meglio con gli ispanici o con gli americani? 

L’America è bellissima. Offre grandi opportunità ed è uno dei miei Paesi preferiti, non ha eguali. In America ho suonato nel gennaio 2019, dove mi sono esibito al NAMM Show 2019 a Anaheim, California per due giorni e poi per due sere di fila al Whisky a Go-Go, a West Hollywood, contea di Los Angeles. 

Ti piacerebbe vivere in America?

Sì, non sarebbe male, e gli Stati Uniti sono sicuramente nella mia Top Five, però è stato il Messico ad affascinarmi molto ed è al mio primo posto perché mi piacciono le persone, poi gli USA. Ho fatto due tour in Messico e la gente è molto ospitale e amichevole. Ho fatto un tour anche in India, nel gennaio 2020, poco prima del lockdown. Non mi piaceva il cibo, e le usanze sono molto diverse dalle nostre, però è stato molto bello perché ogni volta che vado in tour in un nuovo Paese è sempre una lezione di vita. E in India le persone hanno sempre un gran sorriso, nonostante le condizioni del Paese.

Hai in mente di entrare in un gruppo?

Il fattore del gruppo è una cosa che, già nel passato, ho sperimentato, ed ero più piccolo, poi ho suonato con Steve Vai e con altri nomi illustri di questo genere. Ora sto lavorando molto come solista, ma ho in mente di entrare in un gruppo.

Pensi che il rock più di sostanza debba basarsi sul power trio dei Cream o della Jimi Hendrix Experience? Può bastare per rendere veramente potente il suono o servono per forza altri strumenti?

È tutto soggettivo. È come quando qualche chitarrista mi chiede: “Io quali esercizi di pratica posso fare?”. Dipende da cosa tu vuoi fare. Il rock può essere sia un power trio, ma anche solo chitarra-batteria, oppure chitarra, batteria, tastiera, basso, dipende sempre da ciò che vuoi fare tu.

Secondo te da dove arriva l’ispirazione?

L’ispirazione viene da quello che senti. A me piace guardare i miei chitarristi preferiti, imparare da loro, vedere, ammirare, ma senza essere invidioso di nessuno. Non lo sono mai stato, nemmeno da bambino, e in seguito, anche se i miei coetanei facevano un assolo migliore del mio, non ne ero invidioso, ma sempre più motivato a migliorare. La prima ispirazione è avvenuta con la prima canzone, “Resilience”, uscita il 5 maggio dell’anno scorso, e con l’ultima canzone che è uscita a dicembre, “Full Emersion”, titolo che riguarda una crescita personale, con un forte avvicinato alla fede e alla realtà dello spirito, quindi “l’emersione completa” come nell’acqua battesimale, un’uscita con una nuova rigenerazione.

Parli di “fede” nel senso del credere a Qualcosa che comunque è impalpabile e inclassificabile, ma in cui uno vuole credere, o sente che quella è una presenza reale?

Ti dico la mia opinione. Nel rispetto di qualsiasi opinione altrui. Io lo sento e sono sicuro che un Qualcosa c’è. Lo sento proprio dentro di me, nella felicità che provo da quando ho iniziato questo percorso spirituale. Mi sento molto più felice, e molto più sereno.

Alcune delle grandi canzoni rock sono emerse da sogni in fase REM. È successo a molti artisti di ritrovarsi al mattino a prendere appunti su un bloc notes, a trascrivere le note che hanno sognato oppure di doverle registrare immediatamente. 

Certo, anche a me è successo e bisogna registrarla subito, quando hai un’idea. A volte improvviso naturalmente, senza pensare faccio un lick di chitarra o una serie di accordi molto bella, che poi se non l’ho registrata in quel momento, non me la ricordo più…

Come riesci a suonare 129 note al secondo?

La gente si confonde quando legge “129 note al secondo” e pensano che siano 129 plettrate o note singole. Ѐ sbagliato. La velocità è sempre stata una mia caratteristica naturale. Sin da bambino volevo fare qualcosa mai fatta prima. Un giorno mi misi nella mia camera e iniziai a suonare una sequenza di arpeggi che, mi accorsi, uscivano a velocità sempre più elevata. Allora mi studiai una serie di arpeggi in sequenza, che poi le 129 note al secondo sono cinque arpeggi sulle prime tre corde, quindi MI, SI, SOL suonate ripetutamente con la tecnica dello sweep picking. Il primato è stato certificato ai Sanremo Music Awards, poi sono arrivate le conferme delle riviste. Il 17 luglio 2021 la messicana “GuitarraMX” mi nominò il più veloce della storia e il titolo di copertina ha prodotto un’impennata di vendite della testata.
Poi a dicembre 2021, Rolling Stone Brasile mi ha dichiarato il chitarrista più veloce della storia.

Secondo te perché tanti ragazzi ventenni bravissimi poi non ce l’hanno fatta? C’era qualcosa di autodistruttivo nella loro ricerca?

Non è facile. Secondo me dipende se questa cosa è per te e da quanto ti impegni per raggiungere il tuo obiettivo. Nel mio caso, l’emarginazione dovuta all’infanzia mi aveva portato ad essere ferreo con me stesso. Non mi davo pace finché non raggiungevo l’obiettivo. Vedo tanti ragazzi della mia età, e anche più piccoli, decisi a voler riuscire, ma ci lavorano su solamente per poche ore alla settimana, mentre per me erano sei - sette ore al giorno, e a volte neanche dormivo finché non arrivavo al risultato. 

E questo tuo successo attuale dovrebbe o potrebbe aiutare anche quei giovani sbandati e privi di punti di riferimento, che in questo momento qui o in altri Paesi non capiscono che per trovare qualcosa per se stessi, bisogna impegnarsi seriamente? 

Penso di sì, dipende anche dalle persone. Io sono un ragazzo come chiunque altro e ho sempre visto i miei chitarristi preferiti come degli esempi da seguire. Tanta gente dice: “Eh, tutta questione di soldi”, ma non è vero. È tutta questione di dedizione, talento, tanto lavoro e soprattutto il tempo che dedichi a mettere a fuoco quello che vuoi fare, perché io credo che, nella vita, nulla è impossibile, basta volerlo davvero. Anche quando le persone non ti sosterranno, il mio consiglio è quello di lottare sempre per i tuoi sogni e per quello che ti rende felice perché lavorando molto, tutto è possibile.

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