Il parlamento californiano ha escluso la possibilità di celebrare il "John Wayne Day".
di Pino Farinotti
Quassù, dove sono da tanto tempo, dico che non mi serviva un riconoscimento in più, ne ho avuto tanti: il vero patriota, l'eroe americano, l'incarnazione della storia degli Usa, eccetera.
Che il parlamento californiano abbia bocciato la proposta del "John Wayne Day", l'idea di dedicarmi un giorno dell'anno, quello della mia nascita, il 26 maggio, del 1907, un po' mi ha dato fastidio. L'avrei gradito.
Quel tale, quel democratico, Luis Alejo, che ha strombazzato le mie idee razziste, forse ha trascurato altri aspetti, non da poco. Per esempio: in 46 anni di cinema e in quasi 200 film ho sempre protetto i deboli. È la sintesi ed è la mia cifra di eroe. E non me la sono attribuita da solo. Dovrebbe bastare per farmi rispettare. So bene che le ultime generazioni, parlo di cinema ma non solo, hanno smarrito la percezione dell'eroe senza macchia: è un personaggio stucchevole, è molto più simpatico l'antagonista cattivo. E così posso essere diventato un ricordo sbiadito e fuori moda. Ma ci fu un tempo, ed era il tempo del cinema dell'età dell'oro, in cui io potevo valere gli eroi attuali, giovani o meno giovani: da Eastwood a Ford, a Costner, Gibson, Cruise, Depp, tutti messi insieme.
Negli anni Settanta, quando tutto cambiava e nei western i buoni erano diventati gli indiani, di me si cominciava a parlare, e scrivere, dicendo che non avevo mai indossato una divisa in vita mia.
Si disse che ero fascista e reazionario. È vero che stavo sempre dalla parte del candidato repubblicano, che il mio manifesto era ancora quello della patria e della famiglia. È vero che spesso mi identificavo coi miei ruoli.
Ma perché dovevo stare a un certo gioco. E non c'è dubbio che non fossi un grande oratore, e neppure un diplomatico prudente. E dunque qualche volta mi sono sfuggite frasi inopportune sugli indiani o sui neri. E certo non ero in linea con la cultura progressista che si evolveva e andava prevalendo.
Come quando ho fatto quel film, Berretti verdi, dove difendevo la guerra in Vietnam. Lo so bene che è stato un errore. Era un po', come si dice, un gioco delle parti. Ma dico che io, John Wayne, merito una franchigia da errore. E merito di non essere penalizzato o umiliato dalla politica. Il politico Alejo, nel suo discorso contro di me l'ha messa sul piano ideologico. E voglio usare un suggerimento del mio grande amico John Ford, che è più colto di me. Mi ha detto: "Quel tizio della West Coast ha visto le piastrelle sul pavimento senza accorgersi che sopra c'era la Sistina." Certo presentavo, e presento, dei limiti rispetto a quella parte di cultura: per esempio non ero gay, e così non ho potuto, e non posso, valermi di una lobbie potente che mi tuteli. Ma qualcuno, ben più importante, e più "americano" di Alejo, aveva un'opinione diversa. Katharine Hepburn è stata la più grande attrice americana coi suoi quattro Oscar da protagonista. Nel film Torna el Grinta io le salvo la vita e la proteggo fino alla fine. La Hepburn, sullo schermo e nella vita è stata una ultraprogressista, femminista e passionaria. Ebbene, nell'ultima scena si rivolge a me: "Conoscere lei è stata un'avventura che ogni donna dovrebbe sperimentare, una volta almeno... e devo dirle che lei fa onore a tutto il sesso maschile, sono fiera di averla come mio amico". Parole dette al Grinta, ma soprattutto a me. E Katharine, la conoscevo bene, mai e poi mai avrebbe detto cose che non pensava, neppure in un film.