mele (2020) 

Il debutto di Nikou camminerebbe in equilibrio fra tragico e comico, intimismo ed epocalità? La necessità di dimenticare la morte della moglie, la memoria come maledizione, è quella del Gondry di "Se mi lasci ti cancello"; la vacuità dell'esistenza espressa con inquadrature fisse indifferenti alle vicende umane è quella di Bresson; la prova attoriale straniante del protagonista è quella di Keaton in "Film"; su questo s'innesta malamente la satira politico-culturale del Tati coi pantaloni sempre troppo corti, con l'amnesia (la perdita del ricordo della propria identità soggettiva) com'effetto pandemico della digitalizzazione tecnologica e della quotidianità dei social evidenziata dall'oggettistica analogica e dal formato dell'immagine in 4:3, e con la patologia che non colpisce potenti e benestanti: troppe citazioni disparate e metaforicamente pedanti quanto quella del "Titanic" di Cameron.

Mauro Lanari

Mele presenta un buonissimo spunto, cioé una pandemia (ma il coronavirus non centra nulla) che colpisce le persone causando un'amnesia totale nelle vittime. Un'esistenza quindi cancellata totalmente specie per chi non ha familiari o amici come nel caso del protagonista e per altri sventurati. Ricostruire quindi un'esistenza fittizia attraverso nuove esperieze cristallizzate in polaoid e registratori a cassette. Un film che evoca molto il primo Lanthimos, spiazzante nell'uso di strumenti analogici come detto e lo stesso formato del film in 4:3. Interessanti anche lo sviluppo della storia che ha comunque le sue lentezze, ma mai fini a se stesse. Ottimo l'attore protagonista per un film che sottolinea come lasciare la via vecchia per quella nuova non semrpe si rivela indovinata.

Christous Nikou è alla sua opera prima e affronta il tema della perdita di memoria . Lo fa raccontando la malattia di un uomo che improvvisamente è affetto da disturbi mnemonici e si affida ad un centro psichiatrico per essere curato. La sua momentanea ricostruzione della realtà e gli effetti di una possibile guarigione lo spaventano più della malattia stessa, ed in una società priva di stimoli il protagonista preferisce rimanere metaforicamente malato in una dimensione molto individuale. Un'eccellente fotografia e un ritmo molto lento rendono questo film un'opera fortemente visiva dove anche l'uso del bianco e nero ci riporta ad una dimensione onirica invece che reale. Il parallelismo con il malessere di una scoietà che dimentica facilmente il passato è fin troppo facile.