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Latium - Wikipedia

Latium

antica regione italiana storico-geografica

Template:Wik Per città scomparse del Lazio arcaico si intendono le circa cinquanta antichissime comunità fiorite nel Latium Vetus (e alcune nel Latium Adiectum) durante l'età del bronzo, e fino alla prima grande espansione romana dell'età monarchica, distrutte o ridotte ai minimi termini in seguito alla conquista. questa fu caratterizzata in questa precoce fase dalla distruzione sistematica dei centri urbani sottomessi, spesso situati a poca distanza dai "sette colli", cancellazione più o meno completa a cui spesso seguiva la deportazione a Roma delle popolazioni così assoggettate, che venivano inglobate nella comunità romana, fino a fondersi con essa.

Solamente in un'epoca più tarda, a partire dalla fine del V secolo, i successivi ampliamenti della conquista romana verso il resto del Lazio e poi verso l'Italia, non previdero più la distruzione del centro assoggettato, ma solo la sua annessione politica in diverse forme. La memoria di queste antiche città è stata tramandata da un nutrito gruppo di fonti classiche, principalmente l'opera geografica di Strabone, l'opera enciclopedica di Plinio il Vecchio, detta Naturalis Historia, e l'opera antiquaria di Dionigi di Alicarnasso sulla Roma arcaica, le Romanae Antiquitates. In particolare, l'opera di Plinio, nel suo stile enciclopedico e compendiario, ne fornisce un elenco schematico e scarno, ma ampio, buono come base per un approccio globale e possibilmente completo allo studio della realtà storico-geografica di questi insediamenti.

Introduzione storico-geografica generale

L'area dell'odierno Lazio fu occupata, a partire dal 2000 a.C. circa, da una serie di popolazioni di stirpe indoeuropea, tra cui i Latini, i Volsci, gli Equi, gli Ausoni e gli Ernici, che costituivano uno dei due rami della stirpe indoeuropea discesi in Italia: l'altro era costituito dagli Osco-Umbri, detti successivamente Italici, che discesero nella penisola più tardi (intorno al 1500 a.C.) ma ne occuparono la parte maggiore. Tra i popoli stanziatisi nel Lazio ai tempi della prima immigrazione i Latini, in particolare, si insediarono nella zona che essi e poi i Romani chiamarono Latium Vetus, ossia Lazio antico, il "vero" Lazio che da loro prendeva nome. Esso si trovava nella parte nordoccidentale dell'antico Lazio e confinava con l'Etruria da cui era diviso dal Tevere; inoltre era delimitato dagli Appennini a nord-est, dal mare a sud-ovest, mentre a sud-est il confine era meno definito geograficamente, e i Latini confinavano direttamente con alcune delle popolazioni laziali limitrofe, spesso ostili, come i Volsci. Il Latium Vetus, pur di limitata estensione, era comunque disseminato in epoca protostorica di una miriade di insediamenti protourbani di varie dimensioni, che si svilupparono in parte divenendo delle vere e proprie città. I Volsci e gli Equi si stabilirono invece in prevalenza in un'area a sud-est del Latium Vetus, molto più estesa, che andava dal confine con quest'ultimo fino alla Campania, nelle vicinanze della quale si insediarono gli Ernici e gli Ausoni, e confinava anch'essa con gli Appennini sul versante interno; quest'area, molto eterogenea, fu chiamata dai romani Latium Adiectum, ossia Lazio "aggiunto", perché era un territorio che essi avevano di fatto aggregato al Latium Vetus in seguito alle loro progressive conquiste verso sud. Anche in queste zone si svilupparono già in età molto arcaica numerosi centri abitati, che anzi soprattutto nelle zone di confine tra Volsci e Latini furono spesso teatro di conflitti tra i due popoli (specie durante la grande crisi del V secolo, nei primi decenni della repubblica romana) e passarono più volte di mano da una popolazione all'altra. Le due regioni storico-geografiche di cui abbiamo detto furono poi unite alla Campania da Augusto, nell'ambito della regionalizzazione dell'Italia, andando a formare la Regio Prima. Mentre all'inizio fu prevalente per indicare le regiones l'uso del numerale, col tempo si affermarono dei nomi propri, nel caso della Regio Prima, "Latium et Campania". Come si vede da questo nome, in età imperiale il Lazio era ormai percepito come un'entità unica, mentre restava ben percepita la distinzione rispetto alla Campania, con un confine piuttosto ben definito tra le due sub-regioni, che Plinio il Vecchio, piuttosto approssimando, fa corrispondere al fiume Garigliano. Le fonti antiche attestano un gran numero di città latine, la cui conoscenza è per noi moderni di vario tipo: alcune, in particolare le più lontane da Roma, furono conquistate dai romani più o meno tardi e piuttosto che essere distrutte furono come si è detto assorbite dallo stato romano, alcune come municipia, sia "optimo iure" che "latini nominis", rimanendo abitate e talvolta importanti fino alla piena età storica, e alcune anche oltre, fino a oggi. E' il caso ad esempio di Tibur (Tivoli), Nomentum (Mentana), Praeneste (Palestrina), Lanuvium (Lanuvio), Velitrae (Velletri), Gabii, Ardea, Aricia (Ariccia), Tusculum (presso Frascati), e anche Lavinium, di cui però rimase attiva e frequentata ancora in età imperiale solo l'area sacra, come attesta per esempio Strabone (V, 3, 5), che dice che il santuario era amministrato dagli Ardeati attraverso loro addetti. Altre città (le più numerose), invece scomparvero completamente in epoche più o meno arcaiche: si tratta in genere delle più vicine a Roma, che furono conquistate per prime e distrutte.

Le fonti storiche principali

L'elenco più ampio di città scomparse del Lazio arcaico che ci sia stato tramandato è quello fornito da Plinio il Vecchio: egli cita 53 "populi" di cui alla sua epoca (I sec. d.C.) non rimaneva traccia; l'elenco non e' tuttavia organico, essendo diviso in due parti. Il primo elenco, compreso in III, 68, riporta, senza un ordine preciso, le città del Lazio in generale, escluse quelle dell'area albana, e citandole con il loro nome proprio; il secondo, compreso in III, 69, elenca invece in ordine alfabetico le popolazioni cittadine dell'area albana, e non con i nomi propri delle varie città, ma appunto con quello degli abitanti, definiti "populi albenses". Questa dispersione è probabilmente la causa dell'evidente discordanza che si riscontra in questo passo di Plinio: in effetti le città nominate non sono 53 ma 50; anche volendo comprendere nel totale di 53 la città scomparsa di Apiolae, che viene citata a parte, e anche l'antica Amynclae, nominata in un altro passo, non si riesce comunque a trovare una spiegazione convincente per questo numero, che è probabilmente un errore di Plinio. Va fatto notare a ogni modo che molti dei nomi citati a tutt'oggi non restano appunto che nomi, e solo di poche di queste città si è potuto individuare con una certa sicurezza il sito, e di pochissime esistono tracce più o meno importanti. Un altro elenco di antiche città latine ci viene fornito da Dionigi di Alicarnasso nelle Romanae Antiquitates, ma tra questo e quello di Plinio c'è un'importante differenza: contrariamente a quanto fa quest'ultimo, Dionigi elenca insieme città scomparse e città ancora esistenti ai suoi tempi, non avendo interesse a dividerle, perche' era diversa la funzione del suo elenco. La sua opera infatti narra le vicende più antiche della protostoria e della storia di Roma, e l'elenco in questione nomina le 29 città della lega latina coalizzatesi contro Roma. Anche Strabone cita il nome di alcune città del Lazio scomparse alla sua epoca (I sec. a.C.- I sec. d.C.), ma non ne fornisce un elenco organico: in particolare nomina Collatia, Antemnae, Fidenae e Labicum, dopo aver parlato delle leggende relative alla fondazione di Roma (V, 3,2); di queste dice che ai suoi tempi erano ridotte a semplici villaggi o a proprietà private (presumibilmente possedimenti agricoli). Cita inoltre Apiolae e Suessa descrivendo l'espansione romana nella Pianura Pontina a danno dei Volsci, a cui tali città in certe epoche appartennero; di seguito, parlando dello stanziamento degli Equi, dice che tra l'altro abitavano vicino ad Alba, lasciando supporre implicitamente che tale città poteva non essere piu' esistente (e infatti così era, stando a quanto attesta una nutrita schiera di autori) - il passo comunque resta ambiguo. Infine cita Tellenae fra le città che si trovano presso i Colli Albani, ma di quest'ultima non dice nulla riguardo al fatto che alla sua epoca fosse scomparsa, mentre Plinio pochi decenni piu' tardi testimonia che lo era (evidentemente poteva ancora esistere ma ridotta a un villaggio insignificante). Un'ultima fonte importante relativa alle città scomparse del Lazio arcaico è infine Livio, che nei primi libri della sua storia di Roma cita spesso molte antiche città latine poi scomparse, coinvolte in vari modi nelle vicende più antiche di Roma e poi da essa progressivamente sottomesse.

Le Città

Qui di seguito passeremo in rassegna le singole città documentate, con alcune avvertenze preliminari: si seguirà l'ordine dell'elenco di Plinio, come detto il piu' ampio e sistematico; delle città elencate da lui elencate si considereranno e tratteranno solamente quelle su cui esiste qualche base concreta per poter affrontare un discorso anche minimo. Solo poche infatti sono sufficientemente conosciute sia per documentazione letteraria, sia talvolta archeologica, mentre molte restano avvolte nell'oscurità più assoluta. In particolare le meglio identificate e conosciute sono Satricum, Politorium, Tellenae, Ficana, Crustumeria, Corniculum, Antemnae, Collatia, Norbe, Fidenae, Pedum, Querquetulum. Invece di città anche ampiamente documentate dalle fonti, come Alba Longa, Apiolae, Pometia, Corioli, non si sa nulla di preciso, neppure su dove fossero situate esattamente. Infine, soprattutto nell'elenco pliniano delle della zona albana, ne sono citate diverse i cui nomi non si trovano attestati in nessun'altra fonte, e che per la loro misteriosità hanno finito per risultare sospette a molti, finendo anche per suscitare dispute filologiche per stabilirne le forme corrette.

Satricum

La prima città nominata da Plinio è Satricum: si trattava di un'importante città latina situata presso il fiume Astura non lontano da Anzio, presso l'attuale località Le Ferriere. In età arcaica fu probabilmente la seconda città più grande del Latium Vetus dopo Alba Longa. Occupata nel IV sec. a.C. dai Volsci fu incendiata e distrutta una prima volta dai Latini nel 377 e poi nuovamente distrutta nel 346 dai romani (Liv.VI,33 e VII,27). Dionigi di Alicarnasso la cita nell'ambito delle 29 città latine alleate contro Roma (Dion.Hal. V, 61). Era sede di un'importante santuario dedicato alla Mater Matuta, che, anche quando la città dopo il IV sec. a.C. scomparve, rimase frequentato, almeno fino al II sec. a.C; inizialmente il culto era praticato all'aperto sull'acropoli, successivamente in un tempio eretto nel VI sec. sostituito agli inizi del V da uno più grande restaurato poi nei secoli successivi. Di quest'ultimo edificio restano importanti avanzi. Il sito è stato oggetto di scavi che hanno interessato l'abitato antico con il santuario della Mater Matuta e la necropoli, riportando alla luce una grande quantità di oggetti in buona parte relativi al culto praticato nel santuario, tra cui spiccano alcune stipi votive, e una nota epigrafe in latino arcaico.

Pometia

La seconda città dell'elenco pliniano è Pometia, chiamata anche Suessa Pometia (Strabone la nomina in V,3,4 chiamandola semplicemente Suessa): di questa le citazioni negli autori antichi abbondano (Cato, Orig. 58,P ; Cic., Rep. II,44; Dion.Hal. IV,50 e VI,29), eppure non si riesce tuttora a localizzarla con precisione (NB: la città in questione non ha assolutamente nulla a che vedere con la moderna città di Pomezia fondata negli anni '30 del XX sec., se non il nome!). Livio e Strabone attestano che era volsca quando fu conquistata da Tarquinio il Superbo (Liv., I,53 ; Strab., V,231), poi si consegnò agli Aurunci e quindi fu nuovamente presa dai Romani nei primi anni della repubblica. Di ciò che successe dopo non si sa nulla, la città scomparve senza lasciare traccia. Sono state avanzate diverse teorie per tentare di individuarne il sito: alcuni la collocano in qualche punto dell'Agro Pontino, a cui peraltro la città ha dato il nome (Ager Pomentinus = agro di Pometia), verso i Colli Albani, ma una teoria più recente, molto suggestiva, ipotizza che in realtà Pometia e Satricum fossero una sola città (Stibbe, Coarelli). Se così fosse, Suessa sarebbe il nome aurunco (v. Suessa Aurunca), Satricum quello volsco e Pometia quello latino.

Scaptia

Segue la città di Scaptia, di cui non si sa assolutamente nulla, neanche dove si trovasse esattamente; Livio dice che avrebbe dato il suo nome alla tribù Scaptia (VIII,17). Alcuni la collocano nella piana sottostante Tivoli; secondo Zehnacker potrebbe essere situata presso l'attuale Passerano.

Politorium

Politorium è invece molto più documentata e conosciuta: manca la certezza assoluta, ma ci sono ottime probabilità di poterla identificare con la città arcaica scoperta e scavata presso l'attuale Castel di Decima, nella periferia sud-est di Roma. Il fatto di non aver rinvenuto documenti epigrafici fa sì che, come detto, non si possa essere del tutto certi che la città ritrovata sia proprio Politorium, ma i più sono favorevoli all'identificazione. Gli scavi in questione hanno portato alla luce resti di fortificazioni dell'antica città, ma soprattutto una necropoli principesca che ha restituito un altissimo numero di corredi, in cui si segnalano alcuni importantissimi oggetti, in particolare ceramiche, tra i quali spicca un prezioso bicchiere corinzio rinvenuto in una tomba maschile, che essendo databile con sufficiente precisione (ultimi anni dell'VIII sec. a.C.) consente di avere un appiglio cronologico abbastanza certo per situare nel tempo la città. Questo importantissimo oggetto testimonia dunque l'esistenza di rapporti culturali e commerciali con il mondo greco. Ma i rapporti erano ovviamente intensi anche con il mondo etrusco, limitrofo, come testimonia per esempio un askos a ciambella di tipo greco, ma probabilmente di fabbricazione etrusca. Il pezzo forte tra i vasi rinvenuti è comunque certamente la splendida olla di impasto rosso, con protomi di grifone applicate sulla spalla: questo vaso da banchetto, rinvenuto in una tomba femminile, era destinato a contenere il vino e nella sua tipologia imita chiaramente dei modelli orientali di bronzo, testimoniando quanto la cultura materiale di questa città fosse in quel periodo evoluta e raffinata. I riferimenti a Politorium nelle fonti antiche sono numerosi: Catone nelle Origines parlava della sua fondazione (54 P); Livio e Dionigi di Alicarnasso testimoniano la tradizione che attribuiva la sua conquista e distruzione ad Anco Marzio (datato tradizionalmente tra il 640 e il 616 a.C.), che ne avrebbe trasferito la popolazione sull'Aventino (Liv. I,33; Dion.Hal. III,37-38 e 43). Da ciò, al di là dei particolari leggendari, si ricava che Politorium fu una delle vittime della prima avanzata di Roma verso il mare , situabile effettivamente nel VII sec. a.C., che portò alla caduta anche di Tellenae e Ficana e sarebbe culminata nella fondazione di Ostia, attribuita dalla tradizione allo stesso Anco Marzio.

Tellenae

Dopo Politorium nell'elenco di Plinio compare Tellenae. Per questa città la situazione è analoga a quella della città precedente: lungo la Via Laurentina, alla periferia sud-est di Roma nelle vicinanze dell'attuale Trigoria, è stata rinvenuta una necropoli, senza però che ci fosse modo di conoscere il nome della città a cui si riferiva; tuttavia l'opinione più diffusa è quella di identificare il sito con quello dell'antica Tellenae. Tra l'altro Strabone la cita nell'ambito di una serie di città dell'area vicina ai Colli Albani, e il sito in questione si trova proprio in una zona collinare prossima all'area albana. la tradizione, come si è detto, tramanda che anche questa città sarebbe stata distrutta da Anco Marzio (Liv. I,33; Dion.Hal. III,38) nella sua avanzata verso il mare, e la sua popolazione superstite trasferita sull'Aventino. Inoltre, come accennato nel capitolo sulle fonti storiche, Strabone la cita (V,3,4) non dicendo esplicitamente che ai suoi tempi fosse scomparsa: forse esisteva ancora, ma evidentemente ridotta a un villaggio insignificante.