Religione romana
La religione romana è l'insieme dei fenomeni religiosi propri dell'antica Roma considerati nel loro evolvere come varietà di culti, questi correlati allo sviluppo politico e sociale della città e del suo popolo[1][2].
Le origini della città sono controverse (vedi Fondazione di Roma). Recentemente l'archeologo italiano Andrea Carandini[3] sembrerebbe aver quantomeno dimostrato di poter datare l'origine di Roma all'VIII secolo a.C., saldando quindi le sue conclusioni, basate sugli scavi da lui condotti nella zona del Palatino, all'età di fondazione stabilita dal racconto tradizionale[4][5].
Le origini della religione romana vanno individuate nei culti delle popolazioni italiche[6], nelle tradizioni religiose dei popoli indoeuropei[7] che, probabilmente a partire dal XV secolo a.C.[8], migrarono nella penisola, nelle civiltà etrusca[9] e della Grecia[10] e nelle influenze delle civiltà del Vicino Oriente occorse lungo i secoli.
La religione romana cessò di essere come religione "ufficiale" all'interno dell'Impero romano con l'editto di Tessalonica e i successivi editti promulgati a partire dal 380 dall'imperatore romano convertito al cristianesimo Teodosio I[11], il quale proibì e perseguitò tutti i culti non cristiani professati nell'Impero, soprattutto quelli pagani[12]. Precedentemente (362-363) c'era stato il vano tentativo dell'imperatore Giuliano di riformare la religione pagana per contrapporla efficacemente al cristianesimo, ormai ampiamente diffuso.
Una religione civile
modificaL'espressione "religione romana" è di conio moderno. Il termine italiano "religione" possiede tuttavia la sua chiara etimologia nel termine latino religio ma, nel caso del termine latino, esso esprime una nozione circoscritta alla cura nei confronti dell'esecuzione del rito a favore degli dei, rito che, per tradizione, va ripetuto finché non risulti correttamente eseguito[13], e in questo senso i Romani collegavano al termine religio il vissuto di timore nei confronti della sfera del sacro, sfera propria del rito e quindi della religione stessa[14]:
«Religio est, quae superioris naturae, quam divinam vocant, curam caerimoniamque effert»
«Religio è tutto ciò che riguarda la cura e la venerazione rivolte a un essere superiore la cui natura definiamo divina»
Pertanto, l'integrità e la prosperità di Roma (monarchica, repubblicana, imperiale) erano la finalità dello Stato e, a questo scopo, doveri civili e religiosi coincidevano: lo Stato si è attribuito il diritto di stabilire e specificare qual è il sacro e pertanto la religione romana è una religione civica, una religione che ha carattere pubblico e, di conseguenza, nella organizzazione istituzionale di Roma è presente anche un apparato religioso"[15].
La nozione moderna di "religione" è invece più complessa e problematica[16] andando a coprire un più ampio spettro di significati:
«Le concezioni religiose si esprimono in simboli, in miti, in forme rituali e rappresentazioni artistiche che formano sistemi generali di orientamento del pensiero e di spiegazione del mondo, di valori ideali e di modelli di riferimento»
Precisare la differenza di "contenuto" tra il termine latino religio e quello di uso comune e moderno di "religione" rende conto della caratteristica unica dei contenuti religiosi del vivere romano:
«La religione romana (o più in generale greco-romana) può essere caratterizzata da due elementi: è una religione sociale ed è una religione fatta di atti di culto. Religione sociale, essa è praticata dall'uomo in quanto membro di una comunità e non in quanto singolo individuo, persona; è squisitamente una religione di partecipazione e nient'altro che questo. Il luogo dove si esercita la vita religiosa del romano è la famiglia, l'associazione professionale o di culto, e soprattutto, la comunità politica.»
Ne consegue che per i Romani la religio non aveva molto a che fare con quello che noi indichiamo come credenza religiosa individuale in quanto è lo Stato a essere il tramite tra l'individuo e la divinità[17]:
«L'atteggiamento religioso del romano va [...] distinto dal sistema della fede. Religio non equivale a credo.»
Il sentimento religioso romano (pietas) verte dunque nella forte volontà di garantire il successo alla respublica mediante la scrupolosa osservanza della religio, dei suoi culti, dei suoi riti, della sua tradizione, osservanza che consente di ottenere il favore degli dei e garantire la pax deum (pax deorum)[18]. Tale concordia con gli dei determinata dalla scrupolosa osservanza della religio e dei suoi riti è testimoniata, per i Romani, dal successo di Roma nei confronti delle altre città e nel mondo.
«...sed pietate ac religione atque una sapientia,
quod deorum numine omnia regi gubernarique perspeximus,
omnes gentes nationesque superavimus.»
«... ma è nel sentimento religioso e nell'osservanza del culto e pure in questa saggezza eccezionale che ci ha fatto intendere appieno che tutto è retto e governato dalla volontà divina, che noi abbiamo superato tutti i popoli e tutte le nazioni.»
Il che fa concludere a Cicerone:
«Et si conferre volumus nostra cum externis, ceteris rebus aut pares aut etiam inferiores reperiemur, religione, id est cultu deorum, multo superiores.»
«E se vogliamo confrontare la nostra cultura con quella delle popolazioni straniere, risulterà che siamo uguali o anche inferiori sotto ogni altro aspetto, ma che siamo molto superiori per quello che concerne la religione, cioè il culto degli dei.»
La "mitologia" romana: le fabule
modificaQui sopra il cippo del Lapis Niger risalente al VI secolo a.C. che riporta un'iscrizione bustrofedica. In questo reperto archeologico compare per la prima volta il termine sakros ( : sakros es)[19]. Dal termine latino arcaico sakros originano due successivi termini latini: sacer e sanctus. Lo sviluppo del termine sakros, nel suo variegarsi di significati procede, per quanto inerisce al sanctus per via del suo participio sancio che è collegato a sakros per mezzo di un infisso nasale[20]. Ma sacer e sanctus, pur provenendo dalla stessa radice sak, possiedono dei significati originari molto diversi. Il primo, sacer, è ben descritto da Sesto Pompeo Festo (II secolo d.C.) nel suo De verborum significatu dove precisa che: «Homo sacer is est, quem populus iudicavit ob maleficium; neque fas est eum immolari, sed, qui occidit, parricidii non damnatur». Quindi, e in questo caso, l'uomo sacro è colui che portando una colpa infamante che lo espelle dalla comunità umana deve essere allontanato. Non lo si può perseguire, ma non si può perseguire nemmeno colui che lo uccide. L'homo sacer non appartiene, non è perseguito, né è tutelato dalla comunità umana. Sacer è quindi ciò che appartiene ad 'altro' rispetto agli uomini, appartiene agli Dei, come gli animali del sacrificium (rendere sacer). Nel caso di sacer la sua radice sak inerisce a ciò che viene stabilito (quindi ciò che è sak) come non attinente agli uomini. Sanctus invece, come spiega il Digesto, è tutto ciò che deve essere protetto dalle offese degli uomini. È sancta quell'insieme di cose che sono sottomesse a una sanzione. Esse non sono né sacre, né profane. Esse non sono comunque consacrate agli Dei, non appartengono a loro. Ma sanctus non è nemmeno profano, deve essere protetto dal profano e rappresenta il limite che circonda il sacer anche se non lo riguarda. Sacer è tutto ciò che appartiene quindi a un mondo fuori dall'umano: dies sacra, mons sacer. Mentre sanctus non appartiene al divino: lex sancta, murus sanctus. Sanctus è tutto ciò che è proibito, stabilito, sanzionato dagli uomini e, con questo, anche sanctus si relaziona al radicale indoeuropeo sak. Ma col tempo, sacer e sanctus si sovrappongono. Sanctus non è più solo il "muro" che delimita il sacer ma entra esso stesso in contatto col divino: dall'eroe morto sanctus, all'oracolo sanctus, ma anche Deus sanctus. Su questi due termini, sacer e sanctus, si fonda un ulteriore termine, questo dall'etimologia incerta, religio, ovvero quell'insieme di riti, simboli e significati che consentono all'uomo romano di comprendere il "cosmo", di stabilirne i contenuti e di mettersi in relazione con esso e con gli Dei. Così la città di Roma diviene essa stessa sacra in quanto avvolta dalla majestas che il dio Iupiter ha consegnato al suo fondatore, Romolo. Attraverso le sue conquiste, la città di Roma offre una collocazione agli uomini nello spazio "sacro" da essa rappresentato. La sfera del sacer-sanctus romano appartiene al sacerdos che, nel mondo romano unitamente all'imperator[21] si occupa delle res sacrae che consentono di rispettare gli impegni verso gli Dei. Così sacer divengono le vittime dei "sacrifici", gli altari e le loro fiamme, l'acqua purificatrice, gli incensi e le stesse vesti dei "sacerdoti". Mentre sanctus è riferito alle persone: i re, i magistrati, i senatori (pater sancti) e da questi alle stesse divinità. La radice di sakros, è il radicale indoeuropeo *sak il quale indica qualcosa a cui è stata conferita validità ovvero che acquisisce il dato di fatto reale, suo fondamento e conforme al cosmo[22]. Da qui anche il termine, sempre latino, di sancire evidenziato nelle leggi e negli accordi. Seguendo questo insieme di significati, il sakros sancisce un'alterità, un essere "altro" e "diverso" rispetto all'ordinario, al comune, al profano[22]. Il termine latino arcaico sakros corrisponde all'ittita saklai, al greco hagois, al gotico sakan[22].
La presenza di una mitologia romana che prescindesse da quella greca è stato oggetto di dibattito fin dall'antichità. Il retore greco Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C.) ha negato questa possibilità attribuendo a Romolo, fondatore della città di Roma, l'espressa intenzione di cancellare qualsivoglia racconto mitico che attribuisse agli dei le condotte sconvenienti degli uomini[23]:
«
«Censurò tutti quei miti che si tramandano sugli dèi, in cui erano offese e accuse contro di essi, ritenendoli empi, dannosi, offensivi e non degni degli dèi e neppure degli uomini giusti. Prescrisse inoltre che gli uomini pensassero e parlassero riguardo agli dèi nel modo più rispettoso possibile, evitando di attribuire loro una pratica indegna della loro natura divina. Presso i Romani infatti non si racconta che Urano fu evirato dai figli né che Crono massacrò i figli per paura di essere detronizzato, che Zeus pose fine alla supremazia di Crono, che era suo padre, rinchiudendolo nelle carceri del Tartaro, non si raccontano neppure guerre, né ferite, né patti, né la loro servitù presso gli uomini.»
Allo stesso modo il filologo tedesco Georg Wissowa[25] e lo studioso tedesco Carl Koch[26] hanno diffuso in età moderna l'idea che i Romani non avessero in origine una propria mitologia. Diversamente il filologo francese Georges Dumézil in varie opere aventi come oggetto la religione romana[27] ha invece ritenuto di considerare la presenza di una mitologia latina e quindi romana come diretta eredità di quella indoeuropea, al pari di quella vedica o di quella scandinava, successivamente il contatto con la cultura religiosa e mitologica greca avrebbe fatto dimenticare ai Romani questi loro racconti mitici basati su una trasmissione di tipo orale. Lo storico delle religioni italiano Angelo Brelich[28] ha ritenuto di individuare una mitologia propria dei Latini che, seppur priva di ricchezza come quella greca, è comunque parte autentica e originaria di quel popolo. Lo storico delle religioni italiano Dario Sabbatucci[29] riprende di fatto le conclusioni di Koch quando individua nei Romani e negli Egiziani due popoli che hanno concentrato nel "rito" religioso il contenuto "mitico" non estraendone, a differenza dei Greci, il racconto mitologico. Più recentemente lo storico delle religioni olandese Jan Nicolaas Bremmer[30] ritiene che i popoli indoeuropei e quindi di eredità indoeuropea, tra questi anche i Latini e i Romani, non abbiano mai posseduto dei racconti teogonici e cosmogonici se non in forma assolutamente rudimentale, la particolarità della mitologia greca risiederebbe quindi nel fatto di averli elaborati sull'impronta di quelli appartenenti alle antiche civiltà orientali. Allo stesso modo Mary Bread[31] ha criticato le conclusioni di Dumézil sulla presenza di una mitologia indoeuropea, collegata all'ideologia tripartita, presente anche nella Roma arcaica.
Di certo a partire dall'VIII/VII secolo a.C. si osserva la penetrazione di racconti mitici greci in Italia centrale con i reperti archeologici che li raffigurano[32][33]. Nel VI secolo a.C. l'influenza greca emerge in modo decisamente impressionante con la costruzione del tempio a Iupiter Optimus Maximus al Campidoglio[34].
Andrea Carandini ritiene di individuare una precisa cesura tra la mitologia originaria del Lazio e quella successiva determinata dall'influenza greca:
«Ma a partire da un certo momento la creatività mitica originaria si esaurisce e gli ulteriori sviluppi cominciano a perdere autenticità, per cui viene a prodursi una cesura. Questa cesura cade a nostro avviso nel Lazio al tempo dei Tarquini quando avvengono manipolazioni del mito indigeno ed intrusioni di miti greci paragonabili a un grosso intervento chirurgico nella cultura del tempo.»
Le mediazione etrusca all'epoca dei Tarquini, per mezzo della quale entrano nella religione romana anche nozioni mitiche proprie dei Greci, era già stata evidenziata da Mircea Eliade:
«Sotto la dominazione etrusca perde di attualità la vecchia triade costituita da Giove, Marte e Quirino, che viene sostituita dalla triade formata da Giove, Giunone e Minerva, istituita all'epoca dei Tarquini. È evidente l'influenza etrusco-latina, che del resto apporta alcuni elementi greci. Le divinità hanno ora delle statue: Juppiter Optimus Maximus, come d'ora innanzi sarà chiamato, è presentato ai Romani sotto l'immagine etruschizzata dello Zeus greco.»
Se quindi già a partire dall'VIII/VII secolo a.C. i racconti mitologici greci, questi decisamente influenzati dal contatto della civiltà greca con quelle orientali, segnatamente con la civiltà mesopotamica[35], penetrano nell'Italia centrale determinando la successiva e decisiva influenza della mitologia greca sulle idee religiose latine, resta che alcuni racconti di natura mitica, alcuni dei quali anche di possibile eredità indoeuropea, possano essere appartenuti alla cultura orale latina arcaica e poi ripresi e in parte riformulati dai letterati e dagli antichisti romani dei secoli successivi.
L'accezione moderna del termine "mito" inerisce a racconti tradizionali che hanno come oggetto dei contenuti di tipo significativo[36], il più delle volte afferenti al campo teogonico e cosmogonico[37], e comunque inerente al sacro e quindi del religioso[38]:
«Il mito esprime un segreto proprio delle origini, che conduce ai confini tra gli uomini e gli dei.»
«Il mito si distingue dalla leggenda, dalla fiaba, dalla favola, dalla saga, pur contenendo in varia misura, elementi di ciascuno di questi generi letterari. [...] Tutti questi tipi di racconto hanno in comune il fatto di non essere portatori di quei contenuti di verità che rendono il mito profondamente coinvolgente sul piano esistenziale e religioso»
Il termine moderno "mito" risale al greco μύθος (mýthos)[39] laddove, invece, i Romani utilizzano il termine fabula (pl. fabulae) che possiede origini nel verbo for, "parlare" di contenuti religiosi[40]. Se fabula per i Romani è quindi il "racconto" di natura tradizionale circondato da un'atmosfera religiosa, esso possiede l'ambivalenza di essere anche il "racconto" leggendario che si oppone a historia[41], il "racconto" fondato storicamente. Ne consegue che il fondamento di verità di una fabula è lasciato all'uditore che ne stabilisce il criterio di attendibilità, questo stabilito dalla tradizione. Così Livio, in Ad Urbe Condita (I), ricorda che tali fabulae fondative non si possono né adfirmare (confermare), né refellere (confutare).
Le fabulae fondative di Roma si riscontrano sostanzialmente coerenti in una letteratura che prosegue per circa sei secoli[42]. Tali fabulae narrano di un primo re dei Latini, Ianus (Giano), cui segue un secondo re giunto esule dal mare, Saturnus (Saturno), il quale condivise con Ianus il regno. Figlio di Saturnus fu Picus (Pico), a sua volta padre di Faunus (Fauno) che generò il re eponimo dei Latini, Latinus (Latino). A partire da Ianus, questi re divini introdussero nel Lazio la civiltà, quindi l'agricoltura, le leggi, i culti, fondando città.
Evoluzione
modificaLo sviluppo storico della religione romana passò per quattro fasi: una prima protostorica, una seconda fase dall'VIII secolo a.C. al VI secolo a.C., contrassegnata dall'influenza delle religioni autoctone; una terza contraddistinta dall'assimilazione di idee e pratiche religiose etrusche e greche; una quarta, durante la quale si affermò il culto dell'imperatore e si diffusero le religioni misteriche di provenienza orientale.
Età protostorica
modificaNell'età protostorica ancora prima della fondazione di Roma, quando nel territorio laziale c'erano solo tribù, nel territorio dei colli si credeva nell'intervenire nella vita di tutti i giorni di forze soprannaturali tipicamente magico-pagane. Queste forze non erano tuttavia personificate in divinità ma ancora indistinte e solo col rafforzarsi dei contatti con altre popolazioni, tra cui i Greci (nell'VIII secolo a.C. poi nel IV-III secolo a.C.), i Sabini e gli Etruschi, tali forze cominceranno a essere personificate in oggetti e, solo a Repubblica inoltrata, in soggetti antropomorfi. Sino ad allora erano viste come forze chiamate numen o al plurale numina, grandi in numero e ciascuna avente il suo compito nella vita di tutti i giorni.
Età regia
modificaLa fase arcaica fu caratterizzata da una tradizione religiosa legata soprattutto all'ambito agreste, tipica dei culti indigeni mediterranei, sulla quale si inserì il nucleo di origine indoeuropea. Per la tradizione romana si deve a Numa Pompilio, il secondo re di Roma, la sistemazione e l'iscrizione delle norme religiose in un unico corpo di leggi scritte, il Commentarius, che avrebbe portato alla definizione di otto ordini religiosi: i Curiati, i Flamini, i Celeres, le Vestali, gli Auguri, i Salii, i Feziali e i Pontefici[43].
Gli dei principali e più antichi venerati nel periodo arcaico, la cosiddetta "triade arcaica", erano Giove (Iupiter), Marte (Mars) e Quirino (Quirinus), quella che Georges Dumézil definisce invece “triade indoeuropea”[45]. Proprio a Iupiter Feretrius (garante dei giuramenti) è dedicato il santuario cittadino di più antica consacrazione: stando a Tito Livio era stato proprio Romolo a fondarlo sul colle Palatino[46], così come fu responsabile della creazione del culto di Iupiter Stator (che arresta la fuga dai combattimenti)[47].
Tra le divinità maschili troviamo Liber Pater, Fauno, Giano (Ianus)[44], Saturno, Silvano, Robigus, Consus (il dio del silo in cui si racchiude il frumento), Nettuno (in origine dio delle acque dolci, solo dopo l'apporto ellenizzante dio del mare[48]), Fons (dio delle sorgenti e dei pozzi[49]), Vulcano (Volcanus, dio del fuoco devastatore[50]).
In questa fase primitiva della religione romana è riscontrabile la venerazione di numerose divinità femminili: Giunone (Iuno) in diversi e specifici aspetti (Iuno Pronuba, Iuno Lucina, Iuno Caprotina, Iuno Moneta)[51], Bellona, Tellus e Cerere (Ceres), Flora, Opi (l'abbondanza personificata), Pales (dea delle greggi), Vesta[44], Anna Perenna, Diana Nemorensis (Diana dei boschi, dea italica, introdotta secondo la tradizione da Servio Tullio come dea lunare[52]), Fortuna (portata in città da Servio Tullio, con vari culti entro il pomoerium), la Dea Dia (la dea “luminosa” del cielo chiaro[53]), la dea Agenoria (la dea rappresentante dello sviluppo).
Frequenti sono le coppie di divinità legate alla fertilità poiché essa era ritenuta per natura duplice: se in natura esistono maschio e femmina dovevano esserci anche maschio e femmina per ogni aspetto della fertilità divina. Ecco così Tellus e Tellumo, Caeres e Cerus, Pomona e Pomo, Liber Pater e Libera. In queste coppie il secondo termine rimane sempre una figura secondaria, minore, una creazione artificiale dovuta ai sacerdoti teologi più che alla reale devozione[54].
Il periodo delle origini è caratterizzato anche dalla presenza di numina, divinità indeterminate, come i Lari e i Penati.
Età repubblicana
modificaLa mancanza di un "pantheon" definito favorì l'assorbimento delle divinità etrusche, come Venere (Turan), e soprattutto greche. A causa della grande tolleranza e capacità di assimilazione, tipiche della religione romana, alcuni dèi romani furono assimilati a quelli greci, acquisendone l'aspetto, la personalità e i tratti distintivi, come nel caso di Giunone assimilata a Era; altre divinità, invece, furono importate ex novo, come nel caso dei Dioscuri. Il controllo dello Stato sulla religione, infatti, non proibiva l'introduzione di culti stranieri, anzi tendeva a favorirla, a condizione che questi non costituissero un pericolo sociale e politico. Nel II secolo a.C. furono ad esempio proibiti i baccanali con Senatus consultum de Bacchanalibus del 186 a.C. perché durante tali riti gli adepti praticavano la violenza sessuale reciproca (sodomia compresa), specialmente sui neofiti, e ciò era in contrasto con le leggi romane che impedivano tali atti tra cittadini, pur permettendole nei confronti degli schiavi, mentre il culto dionisiaco fu represso con la forza.
Età alto imperiale
modificaLa crisi della religione romana, iniziatasi nella tarda età repubblicana, s'intensificò in età imperiale, dopo che Augusto aveva provato a darle nuovo vigore.
«[Augusto] ripristinò alcune antiche tradizioni religiose che erano cadute in disuso, come l'augurio della Salute, la dignità del flamine diale, la cerimonia dei Lupercalia, dei Ludi Saeculares e dei Compitalia. Vietò ai giovani imberbi di correre ai Lupercali e sia ai ragazzi, sia alle ragazze di partecipare alle rappresentazioni notturne dei Ludi Saeculares, senza essere accompagnati da un adulto della famiglia. Stabilì che i Lari Compitali fossero adornati di fiori due volte all'anno, in primavera ed estate.»
Le cause del lento degrado della religione pubblica furono molteplici. Già da qualche tempo vari culti misterici di provenienza medio-orientale, quali quelli di Cibele, Iside e Mitra, erano entrati a far parte del ricco patrimonio religioso romano.
Col tempo le nuove religioni assunsero sempre più importanza per le loro caratteristiche escatologiche e soteriologiche in risposta alle insorgenti esigenze della religiosità dell'individuo, al quale la vecchia religione non offriva che riti vuoti di significato. La critica alla religione tradizionale veniva anche dalle correnti filosofiche dell'Ellenismo, che fornivano risposte intorno a temi propri della sfera religiosa, come la concezione dell'anima e la natura degli dei.
Un'altra caratteristica tipica del periodo fu quella del culto imperiale. Dalla divinizzazione post-mortem di Gaio Giulio Cesare e di Ottaviano Augusto si arrivò all'assimilazione del culto dell'imperatore con quello del Sole e alla teocrazia dioclezianea.
Età tardo imperiale
modificaNel 287 circa Diocleziano assunse il titolo di Iovius, Massimiano quello di Herculius[55][56][57][58][59]. Il titolo doveva probabilmente richiamare alcune caratteristiche del sovrano da cui era usato: a Diocleziano, associato a Giove, era riservato il ruolo principale di pianificare e comandare; Massimiano, assimilato a Ercole, avrebbe avuto il ruolo di eseguire "eroicamente" le disposizioni del collega[56][60][61][62][63]. Malgrado queste connotazioni religiose, gli imperatori non erano "divinità", in accordo con le caratteristiche del culto imperiale romano, sebbene potessero essere salutati come tali nei panegirici imperiali; erano invece visti come rappresentanti delle divinità, incaricati di eseguire la loro volontà sulla Terra[64][65]. Vero è che Diocleziano elevò la sua dignità imperiale al di sopra del livello umano e della tradizione romana. Egli voleva risultare intoccabile. Soltanto lui risultava dominus et deus, signore e dio, tanto che a tutti coloro che lo circondavano fu attribuita una dignità sacrale: il palazzo divenne sacrum palatium e i suoi consiglieri sacrum consistorium[66][67]. Segni evidenti di questa nuova qualificazione monarchico-divina furono il cerimoniale di corte, le insegne e le vesti dell'imperatore. Egli, infatti, al posto della solita porpora, indossò abiti di seta ricamati d'oro, calzature ricamate d'oro con pietre preziose[68]. Il suo trono poi si elevava dal suolo del sacrum palatium di Nicomedia. Veniva, infine, venerato come un dio, da parenti e dignitari, attraverso la proschinesi, una forma di adorazione in ginocchio, ai piedi del sovrano[67][69].
Nella congerie sincretistica dell'impero durante il III secolo, permeata da dottrine neoplatoniche, e gnostiche, fece la sua comparsa il cristianesimo. La nuova religione andò lentamente affermandosi quale culto di Stato, con la conseguente fine della religione romana, da ora indicata spregiativamente come "pagana", sancito, nel IV e V secolo, dalla chiusura dei templi e dalla proibizione, sotto pena capitale, di professare religioni diverse da quella cristiana.
Flavio Claudio Giuliano, discendente del cristiano Costantino I, tentò di restaurare la religione romana in forma ellenizzata a Costantinopoli, ma la sua morte prematura nel 363 pose fine al progetto. Teodosio I emanò nel 380 l'editto di Tessalonica per la parte orientale, rendendo il cristianesimo unica religione di Stato, poi nel 391-92 con i decreti teodosiani cominciarono le persecuzioni ai danni dei pagani nell'Impero romano; infine nel 394, i decreti furono estesi alla parte occidentale, dove stava avvenendo specialmente a Roma una rinascita pagana.
Continuità Pagana
modificaNella penisola di Mani, nel Peloponneso, il cristianesimo fu introdotto tardivamente, con i primi templi greci convertiti in chiese cristiane nell'XI secolo. Il monaco bizantino Nikon il Metanoita (Νίκων ὁ Μετανοείτε) fu inviato nel X secolo per convertire i Manioti, che erano rimasti prevalentemente pagani. Sebbene la predicazione di Nikon avesse avviato il processo di conversione, ci vollero oltre 200 anni affinché la maggior parte della popolazione accettasse pienamente il cristianesimo, cosa che avvenne solo nell'XI e XII secolo. Patrick Leigh Fermor osservò che i Manioti, isolati dalle montagne, furono tra gli ultimi greci ad abbandonare la religione pagana.[70] In De Administrando Imperio,Costantino VII scrive che i Manioti erano chiamati 'Ellenici' e che furono pienamente cristianizzati solo nel IX secolo, sebbene alcune rovine di chiese del IV secolo indichino una presenza cristiana precoce. Il terreno montuoso della regione permise ai Manioti di sfuggire agli sforzi di cristianizzazione dell'Impero Romano d'Oriente, preservando così le tradizioni pagane nello stesso territorio che fu l' Alma Mater di Gemistos Plethon.[71]
Organizzazione religiosa
modificaSecondo la tradizione, fu Numa Pompilio a istituire i vari sacerdozi e a stabilire i riti e le cerimonie annuali[72]. Tipica espressione dell'assunzione del fenomeno religioso da parte della comunità è il calendario, risalente alla fine del VI secolo a.C. e organizzato in maniera da dividere l'anno in giorni fasti e nefasti con l'indicazione delle varie feste e cerimonie sacre[72].
Collegi sacerdotali
modificaLa gestione dei riti religiosi era affidata ai vari collegi sacerdotali dell'antica Roma, i quali costituivano l'ossatura della complessa organizzazione religiosa romana. Al primo posto della gerarchia religiosa troviamo il Rex Sacrorum, sacerdote al quale erano affidate le funzioni religiose compiute un tempo.
- Flamini, che si dividevano in tre maggiori e dodici minori, erano sacerdoti addetti ciascuno al culto di una specifica divinità e per questo non sono un collegio ma solo un insieme di sacerdozi individuali[73];
- Pontefici[72], in numero di sedici, con a capo il Pontefice massimo, presiedevano alla sorveglianza e al governo del culto religioso;
- Auguri[72] , in numero di sedici sotto Gaio Giulio Cesare, addetti all'interpretazione degli auspici e alla verifica del consenso degli dei;
- Vestali[44], sei sacerdotesse consacrate alla dea Vesta;
- Decemviri o Quimdecemviri sacris faciundis, addetti alla divinazione e alla interpretazione dei Libri sibillini;
- Epuloni, addetti ai banchetti sacri.
Sodalizi
modificaA Roma vi erano quattro grandi confraternite religiose, che avevano la gestione di specifiche cerimonie sacre.
- Arvali, (Fratres Arvales), ("fratelli dei campi" o "fratelli di Romolo"), in numero di dodici, erano sacerdoti addetti al culto della Dea Dia, una divinità arcaica romana, più tardi identificata con Cerere. Durante il mese di maggio compivano un'antichissima cerimonia di purificazione dei campi, gli Arvalia.
- Luperci, presiedevano la festa di purificazione e fecondazione dei Lupercalia, che si teneva il 15 febbraio, il mese dei morti, divisi in Quintiali e Fabiani.
- Salii[72] (da salire, ballare, saltare), sacerdoti guerrieri di Marte, divisi in due gruppi da dodici detti Collini e Palatini. Nei mesi di marzo e ottobre i sacerdoti portavano in processione per la città i dodici ancilia, dodici scudi di cui il primo donato da Marte al re Numa Pompilio, i restanti copie fatte costruire dallo stesso Numa per evitare che il primo venisse rubato. La processione si fermava in luoghi prestabiliti in cui i Salii intonavano il Carmen saliare ed eseguivano una danza a tre tempi (tripudium)[74].
- Feziali (Fetiales), venti membri addetti a trattare con il nemico. La guerra per essere Bellum Iustum doveva essere dichiarata secondo il rito corretto, il Pater Patratus pronunciava una formula mentre scagliava il giavellotto in territorio nemico. Dal momento che, per motivi pratici, non era sempre possibile compiere questo rito, un peregrinus venne costretto ad acquistare un appezzamento di terreno presso il teatro di Marcello, qui fu costruita una colonna, Columna Bellica, che rappresentava il territorio nemico, in questo luogo si poteva quindi svolgere il rito.
Feste e cerimonie
modificaDelle 45 feste maggiori (feriae publicae) le più importanti, oltre a quelle suddette, erano quelle del mese di dicembre, i Saturnalia, quelle dedicate ai defunti, in febbraio, come i Ferialia e i Parentalia, quelle di Aprile come i Floralia e il Natale di Roma, e quelle connesse al ciclo agrario, come i Cerialia e i Vinalia di aprile o gli Opiconsivia di agosto.
Sulla base delle fonti classiche si è potuto individuare quali tra le numerose festività del calendario romano vedevano un'ampia partecipazione di popolo. Queste feste sono la corsa dei Lupercalia (15 febbraio), i Feralia (21 febbraio) celebrati in famiglia, i Quirinalia (17 febbraio) celebrati nelle curie, i Matronalia (1º marzo) in occasione delle quali le schiave venivano servite dalle padrone di casa, i Liberalia (17 marzo) spesso associata alla festa familiare della maggiore età del figlio maschio, i Matralia (11 giugno) con la processione delle donne, così come i Vestalia (9-15 giugno), i Poplifugia (5 luglio) festa popolare, i Neptunalia (23 luglio), i Volcanalia (23 agosto) e infine i Saturnalia (17 dicembre), la cui vasta partecipazione di popolo è attestata da numerose fonti[75].
Durante le cerimonie sacre spesso venivano praticati sacrifici animali e si offrivano alle divinità cibi e libagioni. La stessa città di Roma veniva purificata con una cerimonia, la lustratio, in caso di prodigi e calamità. Sovente anche i giochi circensi (ludi) avevano luogo durante le feste, come nel caso dell'anniversario (dies natalis) del Tempio di Giove Ottimo Massimo, in concomitanza del quale si svolgevano i Ludi Magni.
Pratiche religiose
modifica«Cumque omnis populi Romani religio in sacra et in auspicia divisa sit, tertium adiunctum sit, si quid praedictionis causa ex portentis et monstris Sibyllae interpretes haruspicesve monuerunt, harum ego religionum nullam umquam contemnendam putavi mihique ita persuasi, Romulum auspiciis, Numam sacris constitutis fundamenta iecisse nostrae civitatis, quae numquam profecto sine summa placatione deorum inmortalium tanta esse potuisset.»
Tra le pratiche religiose dei Romani forse la più importante era l'interpretazione dei segni e dei presagi, che indicavano il volere degli dei. Prima di intraprendere qualsiasi azione rilevante era infatti necessario conoscere la volontà delle divinità e assicurarsene la benevolenza con riti adeguati. Le pratiche più seguite riguardavano:
- il volo degli uccelli: l'augure tracciava delle linee nell'aria con un bastone ricurvo (lituus, vedi Lituo), delimitando una porzione di cielo, che scrutava per interpretare l'eventuale passaggio di uccelli;
- la lettura delle viscere degli animali: solitamente un fegato di un animale sacrificato veniva osservato dagli aruspici di provenienza etrusca per comprendere il volere del dio;
- i prodigi: qualsiasi prodigio o evento straordinario, quali calamità naturali, epidemie, eclissi, ecc., era considerato una manifestazione del favore o della collera divina ed era compito dei sacerdoti cercare di interpretare tali segni.
Lo spazio sacro
modificaLo spazio sacro per i Romani era il templum, un luogo consacrato, orientato secondo i punti cardinali, secondo il rito dell'inaugurazione, che corrispondeva allo spazio sacro del cielo. Gli edifici di culto romani erano di vari tipi e funzioni. L'altare o ara era la struttura sacra dedicata alle cerimonie religiose, alle offerte e ai sacrifici.
Eretti dapprima presso le fonti e nei boschi, progressivamente gli altari furono collocati all'interno delle città, nei luoghi pubblici, agli incroci delle strade e davanti ai templi. Numerose erano anche le aediculae e i sacella, che riproducevano in piccolo le facciate dei templi. Il principale edificio cultuale era rappresentato dall'aedes, la vera e propria dimora del dio, che sorgeva sul templum, l'area sacra inaugurata. Col tempo i due termini diventarono sinonimi per indicare l'edificio sacro.
Il tempio romano risente inizialmente dei modelli etruschi, ma presto vengono introdotti elementi dall'architettura greca ellenistica. La più marcata differenza del tempio romano rispetto a quello greco è la sua sopraelevazione su un alto podio, accessibile da una scalinata spesso frontale. Inoltre si tende a dare maggiore importanza alla facciata, mentre il retro è spesso addossato a un muro di recinzione e privo dunque del colonnato.
Note
modifica- ^ Schilling (1987) e Rüpke (2005).
«"Roman religion" is an analytical concept that is used to describe religious phenomena in the ancient city of Rome and to relate the growing variety of cults to the political and social structure of the city.» - ^ Sul considerare la "religione romana" strettamente collegata alla città di Roma, vedi Schilling (1987) e Rüpke (2005).
«Although Rome gradually became the dominant power in Italy during the third century BCE, as well as the capital of an empire during the second century BCE, its religious institutions and their administrative scope only occasionally extended beyond the city and its nearby surroundings (ager Romanus).»
Ma anche Scheid, pp. 13-14.
«La religione romana esiste solo a Roma o là dove stanno i Romani.» - ^ Cfr. La nascita di Roma.
- ^ La datazione al 753 a.C. risale all'erudito romano Marco Terenzio Varrone (I secolo a.C.). Altre datazioni come quelle proposte da Catone, Dionigi di Alicarnasso e Polibio non si discostano molto. Fabio Pittore indica il 748-747, Cincio Alimento il 729-728, Timeo si spinge fino all'814-813.
- ^ Per una sintesi, cfr. Cristiano Viglietti, L'eta dei re in La grande storia dell'antichità – Roma (a cura di Umberto Eco), vol. 9, pp.43 e ss.
- ^ Così Eliade (1990), p. 111.
«orbene, l'etnia latina da cui è nato il popolo romano, è il risultato di una mescolanza fra le popolazioni neolitiche autoctone e gli invasori indoeuropei scesi dai paesi transalpini»; diversamente Dumézil, p. 69-70: «A differenza dei greci che invasero il mondo minoico, le diverse bande di indoeuropei che discesero in Italia non dovettero certamente affrontare grandi civiltà. Coloro che occuparono il sito di Roma probabilmente non erano neppure stati preceduti da un popolamento denso e instabile; tradizioni come il racconto su Caco inducono a pensare che i pochi indigeni accampati sulle rive del Tevere siano stati semplicemente e sommariamente eliminati come lo sarebbero stati, agli antipodi, i tasmaniani dai mercanti venuti dall'Europa.» - ^ Per un'introduzione alle religione degli Indoeuropei cfr. Jean Loicq, Religione degli Indoeuropei, in Poupard (2007), pp. 891-908; Renato Gendre, Indoeuropei, in Filoramo (1993), pp. 371 e ss.; Regis Boyer, Il mondo indoeuropeo in L'uomo indoeuropeo e il sacro, in Ries (1991), pp. 7 e ss.
- ^ André Martinet, L'indoeuropeo. Lingue, popoli culture, Bari, Laterza, 1989, pp. 78-79; Francisco Villar, Gli Indoeuropei, Bologna, il Mulino, 1997, p. 480.
- ^ Per le decisive influenze della cultura religiosa etrusca su quella romana cfr. Marta Sordi, L'homo romanus: religione, diritto, e sacro, in Le civiltà del Mediterraneo e il sacro, in Ries (1991), pp. 7 e ss.
- ^ Per quanto attiene alla decisiva influenza della mitologia greca sulla religione romana si rimanda alle conclusioni di Dumézil, pp. 63 e ss.
- ^ Cfr. al riguardo Salvatore Pricoco, in Filoramo (2008), vol. 1, pp. 321 e ss.
- ^ Gli editti contro gli eretici e gli apostati furono in seguito raccolti nel sedicesimo libro del Codice teodosiano del 438.
- ^ Mircea Eliade, Religione, in Enciclopedia del novecento, Istituto enciclopedico italiano, 1982, p. 121.«Per i Romani religio stava a indicare una serie di precetti e di proibizioni e, in senso lato, precisione, rigida osservanza, sollecitudine, venerazione e timore degli dèi.»
- ^ Enrico Montanari, in Filoramo (1993), pp. 642-644.
- ^ Pietro Virili, La politica religiosa dello Stato romano (PDF), in Gli inserti di Nuova Archeologia, n. 2, marzo/aprile 2013. URL consultato il 2 febbraio 2024.
- ^ Giovanni Filoramo, Religione, in Filoramo (1993), p. 620.
«Ogni tentativo di definire il concetto di "religione", circoscrivendo l'area semantica che esso comprende, non può prescindere dalla constatazione che esso, al pari di altri concetti fondamentali e generali della storia delle religioni e della scienza della religione, ha una origine storica precisa e suoi peculiari sviluppi, che ne condizionano l'estensione e l'utilizzo. [...] Considerata questa prospettiva, la definizione della "religione" è per sua natura operativa e non reale: essa, cioè, non persegue lo scopo di cogliere la "realtà" della religione, ma di definire in modo provvisorio, come work in progress, che cosa sia "religione" in quelle società e in quelle tradizioni oggetto di indagine e che si differenziano nei loro esiti e nelle loro manifestazioni dai modi a noi abituali.» - ^ In tal senso Pierre Boyancé, Etudes sur la religion romaine, Roma, École française de Rome, 1972, p. 28.
- ^ Deum al posto di deorum per l'arcaicità del genitivo.
- ^ Cfr. Julien Ries, Saggio di definizione del sacro, in Opera Omnia, vol. II, Milano, Jaca Book, 2007, p. 3.«Sul Lapis Niger, scoperto a Roma nel 1899 vicino al Comitium, 20 metri prima dell'Arco di Trionfo di Settimio Severo, nel luogo che si dice sia la tomba di Romolo, risalente all'epoca dei re, figura la parola sakros: da questa parola deriverà tutta la terminologia relativa alla sfera del sacro.»
- ^ Cfr. Benveniste, pp. 426-427.
«Questo presente in latino in -io con infisso nasale sta a *sak come jungiu 'unire' sta a jug in lituano; il procedimento è ben noto.» - ^ Qui inteso come ricolmo di augus, o ojas, dopo l'inauguratio, ovvero pieno della "forza", della "potenza", che gli consente di avere relazioni con il sakros, quindi non nell'accezione molto più tarda riferita prima al ruolo militare e poi politico di alcune personalità della Storia romana.
- ^ a b c Julien Ries, Saggio di definizione del sacro, in Poupard (1990), pp. 1847-1856.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 18-19.
- ^ Questa versione della fabula è in Ovidio, Fasti, III, 11 e ss.
- ^ Religion und Kultus der Römer, 1902.
- ^ In Der römische Jupiter del 1937.
- ^ Una riassuntiva è La Religion romaine archaïque, avec un appendice sur la religion des Étrusques, Payot, 1966, edito in Italia dalla Rizzoli di Milano con il titolo La religione romana arcaica. Miti, leggende, realtà della vita religiosa romana. Con un'appendice sulla religione degli etruschi; in tal senso cfr. l'edizione del 2001, p. 59.
- ^ Tre variazioni romane sul tema delle origini.
- ^ Ad esempio in Mito, rito e storia, Roma, Bulzoni, 1978.
- ^ Insieme a Nicholas Horsfall in Roman Myth and Mythography, University of London Institute of Classical Studies, Bulletin Supplements S. n. 52, 1987.
- ^ Cfr. ad esempio Early Rome, In Religions of Rome, vol. I, (con John North e Simon Price), Cambridge, Cambridge University Press, 1998, pp. 14 e ss.
- ^ In tal senso cfr. Mauro Menichetti, Archeologia del potere. Re, immagini e miti a Roma e in Etruria in età arcaica, Roma, Longanesi, 1994, ISBN 9788830411999.
- ^ Da ricordare che la stabile presenza dei Greci nelle colonie italiane è databile fin dall'VIII secolo a.C.
- ^ Schilling (1987) e Rüpke (2005).
«The most impressive testimony to early Rome’s relation to the Mediterranean world dominated by the Greeks is the building project of the Capitoline temple of Jupiter Optimus Maximus (Jove [Iove] the Best and Greatest), Juno, and Minerva, dateable to the latter part of the sixth century. By its sheer size the temple competes with the largest Greek sanctuaries, and the grouping of deities suggests that that was intended.» - ^ In tal senso e ad esempio cfr. (EN) Charles Penglase, Greek Myths and Mesopotamia: Parallels and Influence in the Homeric Hymns and Hesiod, London, Routledge, 1994, ISBN 0415157064.
- ^ (EN) Walter Burkert, Structure and History in Greek Mythology and Ritual, Berkeley, University of California Press, 1979, p. 23.«Myth is a traditional tale with secondary, partial reference to something of collective importance.»
- ^ Per il livello teocosmogonico cfr. Carlo Prandi, Mito, in Filoramo (1993), pp. 492 e ss.
- ^ Come "fondamentale indicatore religioso" e come "irruzione della dimensione del sacro" cfr. Carlo Prandi, Mito, in Filoramo (1993), p. 494.
- ^ Da considerare che il termine "mito" (μύθος, mýthos) possiede in Omero ed Esiodo il significato di "racconto", "discorso", "storia" (cfr. «per gli antichi greci μύθος era semplicemente "la parola", la "storia", sinonimo di λόγος o ἔπος; un μυθολόγος, è un narratore di storie» Fritz Graf, Il mito in Grecia, Roma-Bari, Laterza, 2007, p. 1; cfr. «"suite de paroles qui ont un sens, propos, discours", associé à ἔπος qui désigne le mot, la parole, la forme, en s'en distinguant...» Pierre Chantraine, Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque, p. 718). Un racconto "vero" (μυθολογεύω, Odissea XII, 451; così Chantraine (Dictionnaire Etymologique de la Langue Grecque, 718: «"raconter une histoire (vraie)", dérivation en εύω pour des raisons métriques».), pronunciato in modo autorevole (cfr. «in Omero mýthos designa nella maggior parte delle sue attestazioni, un discorso pronunciato in pubblico, in posizione di autorità, da condottieri nell'assemblea o eroi sul campo di battaglia: è un discorso di potere, e impone obbedienza per il prestigio dell'oratore.» Maria Michela Sassi, Gli inizi della filosofia: in Grecia, Torino, Boringhieri, 2009, p.50), perché «non c'è nulla di più vero e di più reale di un racconto declamato da un vecchio re saggio» (Giacomo Camuri, Mito in Enciclopedia Filosofica, vol. 8, Milano, 2006, pp.7492-7493). Nella Teogonia è μύθος ciò con cui si rivolgono le dee Muse al pastore Esiodo prima di trasformarlo in "cantore ispirato" (cfr. 23-5: Τόνδε δέ
μ ε πρώτισταθ ε α ὶπ ρ ὸςμ ῦθ ο ν ἔειπον) - ^ Deriva *for, il suo valore religioso è messo in evidenza da Benveniste, p. 386. Dall'arcaico *for deriva anche fatus e fas ma anche fama e facundus; il suo corrispettivo greco antico è phēmi, pháto, ma manca completamente in indoiranico il che lo attesta nell'indoeuropeo di parte centrale (vedi anche l'armeno bay da *bati).
- ^ Termine e nozione di eredità greca.
- ^ Brelich, p. 83; per un'esaustiva rassegna dei testi Brelich rimanda ad Albert Schwegler, Römische Geschichte, Tübingen, 1853, vol. I, pp. 212 e ss. Cfr., comunque, Virgilio Eneide, VII, 45 e ss., 177 e ss.; VIII, 319 e ss.
- ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, II, 63-73.
- ^ a b c d Floro, I, 2.3.
- ^ Dumézil, pp. 137 e ss.
- ^ Livio, 1, 10, 5-7.
- ^ Champeaux, p. 23.
- ^ Champeaux, p. 32.
- ^ Champeaux, pp. 32-33.
- ^ Champeaux, p. 33.
- ^ Champeaux, pp. 25-26.
- ^ Champeaux, p. 37.
- ^ Champeaux, p. 44.
- ^ Champeaux, p. 29.
- ^ Aurelio Vittore, Epitome 40, 10; Aurelio Vittore, Caesares, 39.18; Lattanzio, De mortibus persecutorum, 8 e 52.3; Panegyrici latini, [1] II, XI, 20].
- ^ a b Alan K. Bowman, Diocletian and the First Tetrarchy, in Cambridge Ancient History, pp. 70-71.
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- ^ Williams, p. 58.
- ^ Barnes, p. 11.
- ^ Elio Lo Cascio, The New State of Diocletian and Constantine, in Cambridge Ancient History, p. 172.
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- ^ Aurelio Vittore, Caesares, 39.2-4; Eutropio, IX, 26; Zonara, XII, 31.
- ^ Aurelio Vittore, Caesares, 39.2-4; Eutropio, IX, 26; Eumenio, Panegyrici latini, V, 11.
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- ^ a b c d e Floro, I, 2.2.
- ^ Champeaux, p. 39.
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Bibliografia
modifica- Risorse bibliografiche
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- Floro, Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC, I.
- Tito Livio, Ab Urbe condita libri.
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- Andrea Carandini, La nascita di Roma. Dèi, Lari, eroi e uomini all'alba di una civiltà, Torino, Einaudi, 2003, ISBN 9788806164096. Riedito in Milano, Mondadori, 2010.
- Jacqueline Champeaux, La religione dei romani, collana Universale paperbacks, traduzione di G. Zattoni Nesi, a cura di N. Salomon, Bologna, Il Mulino, 2002, ISBN 9788815084644.
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- Károly Kerényi, La religione antica nelle sue linee fondamentali, Roma, Astrolabio, 1951.
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- Dario Sabbatucci, La religione di Roma antica, Milano, Il Saggiatore, 1989.
- John Scheid, La religione a Roma, Roma-Bari, Laterza, 1983.
- (FR) Monika Linder e John Scheid, Quand croire c'est faire. Le problème de la croyance dans la Rome ancienne, in Archives de sciences sociales des religions, vol. 38, n. 81, 1993, pp. 47–61. URL consultato il 24 maggio 2024.
Voci correlate
modificaAltri progetti
modifica- Wikibooks contiene un approfondimento sulla Religione romana
- Wikiquote contiene citazioni sulla religione romana
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Collegamenti esterni
modifica- (EN) Michael Grant, Roman religion, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- Religio romana, su novaroma.org.
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