Banna'i
Nell'architettura persiana, banna'i (in persiano بنائی, "tecnica di costruzione") è un'arte decorativa architettonica in cui le mattonelle smaltate si alternano a mattoni semplici per creare motivi geometrici sulla superficie di un muro o per descrivere nomi sacri o frasi pie.[1] Questa tecnica è nata in Siria e Iraq nel VIII secolo, maturata nell'era Selgiuchide e Timuride, diffusasi in Iran, Anatolia e Asia centrale.
Se il disegno in muratura è in rilievo allora è indicato come hazarbaf (in persiano هزارباف, composto da hazar "migliaia" e baf "tessiture", riferendosi all'aspetto a tessitura dei mattoni).[2]
Storia
Il primo esempio sopravvissuto di mattoni decorativi con mattoni colorati si trova nella porta della città di Raqqa (772). Mentre il primo esempio di hazārbāf si trova nel Palazzo Ukhaydir vicino a Baghdad, costruito intorno al 762[3]. La tecnica è apparsa in Iran e in Asia centrale più di un secolo dopo, ma con disegni più sofisticati. La tomba del governatore Samanide Ismā'īl (a Bukhara, Uzbekistan) aveva pareti con mattoni sporgenti e incise che creavano un modello di tessitura.[4]
La tecnica del mattone islamico è cresciuta in sofisticazione nel corso dei secoli. Nell'XI secolo l'uso di più mattoni e la variazione della profondità dell'articolazione tra mattoni formavano un'ombra che contrastava fortemente con le linee orizzontali delle file di mattoni (ad esempio nel Mausoleo Arslan Jadhib nel complesso Sang-Bast [5][6]). Delle righe di mattoni sono state collocate profondamente all'interno della facciata dell'edificio e sollevate sopra di essa, per creare spazi positivi e negativi (ad esempio nel minareto Damghan [7] e nella torre Pir-e Alamdar [8]). Il minareto Chihil-Dukhtaran a Isfahan (costruito nel 1107-1108) è uno dei primi esempi di lavorazione in mattoni con triangoli, quadrati, ottagoni, disegni cruciformi [9] (un altro esempio è il minareto della moschea del venerdì di Saveh, eretta con mattoni con scritte cufiche e Nashk[10]). Il monumento Gunbad-i Sorkh in Azerbaijan (costruito nel 1147) era composto da dieci diversi tipi di mattoni intagliati nelle colonne d'angolo.[11]
Nel XII secolo in Azerbaigian, i mattoni sono stati combinati con piastrelle smaltate. Tali mattoni erano tipicamente blu cobalto e color turchese.[12]
Il primo esempio di copertura in mattoni è in un minareto a Ghazni intorno al 1100, precisando il nome del reggente, il re Ghaznavide Massud III e i suoi titoli. Questo edificio di ceramica è stato inserito tra i mattoni per creare l'iscrizione. Più tardi gli edifici utilizzavano le ombre dei mattoni sollevati e altri blocchi utilizzavano mattoni colorati per descrivere le parole. Questa pratica portò finalmente a coprire interi edifici in mattoni con scritture sacre che descrivevano i nomi di Allah, Alì e Maometto.[13]
La versione quadrata del cufico, la versione della calligrafia araba in cufico composta da angoli quadrati, si crede sia stata un adattamento architettonico di questo stile. La scrittura cufica è stata solitamente ottenuta utilizzando mattoni quadrati.
Galleria d'immagini
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Il minareto di Damghan
Note
- ^ Gordon Campbell, "The" Grove encyclopedia of decorative arts, Volume 1, Oxford University Press, 2006, p. 474, ISBN 978-0-19-518948-3.
- ^ George Potter, Square Kufic, su kufic.info. URL consultato il 5 gennaio 2012.
- ^ (EN) Ukhaidir Palace (720-800 CE) | Muslim Heritage, su www.muslimheritage.com. URL consultato il 6 giugno 2017.
- ^ Ruba Kana'an, Architectural decoration in Islam: History and techniques, in Helaine Selin (a cura di), Encyclopedia of Science, technology and Medicine in Non-Western Cultures, Kluver Academic Publishers, 2008, p. 193, ISBN 978-1-4020-4559-2.
- ^ Habibollāh Āyatollāhi, Shermin Haghshenās, The book of Iran: the history of Iranian art, Alhoda UK, 2003, p. 230, ISBN 978-964-94491-4-2.
- ^ Arsalan-i Jazib Gunbad-i | Detail view of minaret, showing wall fragments at base | Archnet, su archnet.org. URL consultato il 6 giugno 2017.
- ^ Masjid-i Jami Damghan: Minaret | Archnet, su archnet.org. URL consultato il 6 giugno 2017.
- ^ Funerary tower of Pir-e Alamdar, in The Courtauld Institute of Art. URL consultato il 6 gennaio 2012.
- ^ Chihil Dukhtaran Minaret, in ArchNet. URL consultato il 6 gennaio 2012.
- ^ Image Collections of Jacqueline Mirsadeghi, in ArchNet. URL consultato il 6 gennaio 2012.
- ^ Entrance, Gonbad-e Sorkh (Red Tomb), in The Courtauld Institute of Art. URL consultato il 6 gennaio 2012.
- ^ (EN) Gwen Heeney, Brickworks, University of Pennsylvania Press, 4 novembre 2003, ISBN 081223782X. URL consultato il 6 giugno 2017.
- ^ (EN) John L. Esposito, The Oxford History of Islam, Oxford University Press, USA, 1999, ISBN 9780195107999. URL consultato il 6 giugno 2017.
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