Piano Solo

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Piano Solo
Giovanni de Lorenzo, Antonio Segni e Giulio Andreotti l'11 giugno 1964
TipoPresunto tentato colpo di Stato; piano d'emergenza
Data1964
StatoBandiera dell'Italia Italia
ObiettivoControllo delle istituzioni e detenzione degli oppositori politici
ResponsabiliGiovanni de Lorenzo, Antonio Segni
MotivazioneImpedire la presa del potere da parte del Partito Comunista Italiano e i suoi alleati

Il Piano Solo fu un piano di emergenza speciale a tutela dell'ordine pubblico fatto predisporre nel 1964 da Giovanni de Lorenzo durante il suo incarico di comandante generale dell'Arma dei Carabinieri, con il benestare del Presidente della Repubblica Antonio Segni. Nel 1967 il giornale l'Espresso uscì con il titolo "1964 Segni e de Lorenzo tentarono il colpo di Stato"[1]. La stampa, in particolare i giornalisti Lino Jannuzzi e Eugenio Scalfari, sostenne che Segni e de Lorenzo fecero pressione sul Partito Socialista, il quale rinunciò alle riforme ed accettò di formare un secondo governo Moro perché preoccupato dell'attuazione di tale piano. La risonanza mediatica portò ad un grande dibattito in Parlamento, dove si decise di istituire un'apposita Commissione parlamentare d'inchiesta, presieduta da Giuseppe Alessi, che però escluse ogni tesi di tentato colpo di Stato.[2][3]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'attività di de Lorenzo e l'affluenza di reparti militari a Roma[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Giovanni de Lorenzo, Piano SIGMA e Crisi della lira del 1963-1964.

Nel 1963 e all'inizio di marzo 1964 si era sviluppata la crisi della lira, dovuta alle richieste di aumenti salariali a seguito del netto aumento di produttività e di disponibilità di prodotti per l'acquisto. Le autorità erano pertanto sotto forte pressione, perché i mercati speravano in una svalutazione della lira stessa. Tutto ciò era fonte di preoccupazione ai piani alti delle istituzioni.

Il 25 marzo 1964 de Lorenzo si incontrò con i comandanti delle divisioni di Milano, Roma e Napoli ponendo in essere con essi un piano finalizzato a far fronte a una situazione di estrema emergenza solamente da parte dell'Arma dei Carabinieri. Il piano prevedeva di occupare anche questure, sedi di partiti e sindacati.[4] La riunione era stata autorizzata ufficialmente dal Capo di stato maggiore della difesa, generale Aldo Rossi.

Il 2 giugno successivo, la tradizionale parata per la festa della Repubblica fu attesa da un numero di militari straordinariamente più elevato del solito. In occasione delle successive celebrazioni per il 150º anniversario della fondazione dell'Arma dei Carabinieri, rimandate dal 7 al 14 giugno per precedenti impegni del presidente della Repubblica Antonio Segni, il comandante generale de Lorenzo fece sfilare l'appena rodata brigata meccanizzata, con un'impressionante dotazione di armi e mezzi pesanti.[5]

Dopo la sfilata, adducendo motivazioni di ordine logistico, il Comando generale comunicò che le truppe affluite nella Capitale per le celebrazioni vi si sarebbero trattenute sino alla fine del mese successivo. A Roma giunsero anche i paracadutisti dei corpi speciali; alcuni gruppi di sottufficiali, addestrati nei mesi precedenti nell'utilizzo di apparecchiature elettroniche di trasmissione, si trasferirono in gran segreto e massima riservatezza a Roma e a Milano per essere preparati, in caso di attuazione del piano, così da poter occupare subito le sedi della Rai.

La caduta del primo governo Moro[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Governo Moro I.

Il 25 giugno 1964, rimasto senza maggioranza nella votazione sul capitolo 88 del bilancio della Pubblica istruzione, il governo Moro, primo di centro-sinistra della Repubblica, fu costretto alle dimissioni, rassegnate il successivo 26 giugno.[6] La ricomposizione sembrava difficile e un'eventuale riedizione del centrosinistra non sarebbe piaciuta a Segni, poiché vedeva, in prospettiva, rischi gravi di destabilizzazione per la democrazia italiana.[6]

Il dibattito politico verteva principalmente sulla nuova fase politica di centro-sinistra inaugurata nel 1962 dal quarto governo Fanfani col sostegno esterno del Partito Socialista Italiano e poi proseguita con l'inclusione dei socialisti stessi nel primo governo formato da Aldo Moro.

Nella riunione dello stesso 28 giugno si parlò anche del trasporto delle personalità politiche da arrestare, organizzato in precedenza con i capi di Stato Maggiore della Marina (l'ammiraglio Ernesto Giuriati) e dell'Aeronautica (il generale Aldo Remondino),[4] ai quali de Lorenzo avrebbe parlato soltanto di trasmissioni e telecomunicazioni e del trasporto dei ritenuti «sovversivi» in Sardegna.

Segni, temendo gravi rischi di destabilizzazione per la democrazia italiana, si consultò ripetutamente con i comandanti delle forze armate italiane, in particolare con de Lorenzo;[6] contemporaneamente, il 15 luglio, fatto mai visto prima e non più ripetuto per un comandante militare,[7] de Lorenzo fu convocato ufficialmente dal Capo dello Stato Antonio Segni nel corso delle consultazioni per la nomina del nuovo governo. Immediatamente dopo, venne consultato anche il Capo di Stato Maggiore della Difesa generale Aldo Rossi.[4]

Il contrasto tra il Presidente Segni e Aldo Moro[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Antonio Segni.

La contrapposizione politica che si stabilì, a livelli quasi di scontro, fra il Capo dello Stato ed il premier uscente Aldo Moro riguardava appunto il centro-sinistra: alle proposte di Moro (cui peraltro Segni doveva buona parte delle sue fortune politiche, compreso il Quirinale), che avrebbe aperto alla sinistra con maggior fiducia, col sostegno di una parte della Democrazia Cristiana e un tiepido avvicinamento del Partito Comunista Italiano, Segni rispose proponendo, o forse minacciando, un governo di tecnici sostenuto dai militari.[4]

L'uomo cui Segni prevedeva di dover far riferimento per l'affidamento delle funzioni di governo sarebbe stato il Presidente del Senato