Accordo di Belaveža

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Accordo di Belaveža
Accordo di Minsk
Accordo di istituzione della Comunità degli Stati Indipendenti
La firma dell'accordo nella dacia a Viskuli.
Da sinistra: Fokin, Kravčuk, Šuškevič, Kebič, El'cin e Burbulis.
ContestoDissoluzione dell'Unione Sovietica
Firma8 dicembre 1991,
effettivo dal 12 dicembre
LuogoBelavežskaja pušča, Bielorussia (bandiera) Bielorussia (de facto)
Minsk, Bielorussia (bandiera) Bielorussia (de jure)
Condizioni · ratifica della dissoluzione dell'Unione Sovietica
 · istituzione della Comunità degli Stati Indipendenti
PartiBielorussia (bandiera) Bielorussia
Russia (bandiera) RSFS Russa
 Ucraina
Firmatari Stanislaŭ Šuškevič
Vjačaslaŭ Kebič
Boris El'cin
Gennadij Burbulis
Leonid Kravčuk
Vitol'd Fokin
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L'Accordo di Belaveža (o Accordo di Belavezha, a seconda della traslitterazione, in russo: Беловежские соглашения, in bielorusso: Белавежскія пагадненні, in ucraino: Біловезькі угоди), noto anche come Accordo di Minsk, è il trattato che sancì la cessazione dell'Unione Sovietica come soggetto di diritto internazionale e come realtà geopolitica, e istituì al suo posto la Comunità degli Stati Indipendenti (CSI)[1][2].

L'accordo venne siglato in una gosdacia nella foresta di Belavežskaja pušča, nei pressi di Viskuli, in Bielorussia, l'8 dicembre 1991 dai leader di Bielorussia, Russia e Ucraina[2].

Premesse e contesto storico

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Lo stesso argomento in dettaglio: Dissoluzione dell'Unione Sovietica.
Carri armati nella piazza Rossa nel corso del colpo di Stato dell'agosto del 1991.

Il dissesto economico nell'Unione Sovietica emerso dopo l'introduzione delle politiche di perestrojka e glasnost' da parte di Michail Gorbačëv, spianò la strada alle rivoluzioni del 1989 che interessarono l'Europa centrale ed orientale, portando in breve tempo all'indipendenza delle ex-repubbliche dell'Unione Sovietica.

Nel febbraio del 1990, infatti, il Partito Comunista dell'Unione Sovietica perse il ruolo di partito unico, permettendo le prime libere elezioni nelle 15 repubbliche. Nella maggior parte di queste furono indetti referendum che con larghe maggioranze riflettevano la volontà popolare di riformare l'Unione. Lo stesso colpo di Stato sovietico del 1991 fallì in quanto venne a mancare l'appoggio delle masse, che invece manifestarono a favore del Parlamento russo.

Il colpo di Stato si concluse dopo soli tre giorni in quanto non riuscì a sortire gli effetti sperati dagli organizzatori: questi, tra cui Gennadij Janaev, Valentin Pavlov e Dmitrij Jazov, vennero arrestati e a Gorbačëv venne ri-offerto il governo del Paese di nuovo nella carica di presidente dell'Unione Sovietica.

La gosdacia immersa nella foresta di Belavežskaja pušča, dove i leader si incontrarono e firmarono l'accordo.

Per far fronte alla caotica situazione, i capi di tre delle 15 repubbliche ex-sovietiche si incontrarono in una dacia governativa nei pressi di Viskuli, in Bielorussia. Queste erano la Russia (all'epoca dei fatti sotto il nome di Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa), la Bielorussia (dichiaratasi indipendente il 27 luglio 1990) e l'Ucraina (indipendente dal 24 agosto 1991). Queste rappresentavano tre dei quattro fondatori dell'URSS nel 1922: la quarta, la RSSF Transcaucasica, era stata dissolta nel 1936[3].

Per la RSFS Russa parteciparono Boris El'cin (presidente) e Gennadij Burbulis (segretario di Stato), per l'Ucraina Leonid Kravčuk (presidente) e Vitol'd Fokin (primo ministro), mentre per la Bielorussia Stanislaŭ Šuškevič (capo del Soviet Supremo della Bielorussia) e Vjačaslaŭ Kebič (primo ministro).

Stando alle cronache dell'epoca, l'incontro, durato meno di 24 ore, ebbe luogo accompagnato da una lunga cena a base di piatti tradizionali russi e vodka, conclusosi poi in una banja[4].

Secondo l'art. 72 della Costituzione sovietica del 1977, ciascuna delle repubbliche sovietiche aveva il diritto di lasciare liberamente l'Unione.

Per parte russa l'accordo fu ratificato dal Soviet Supremo il 12 dicembre 1991, abrogando conseguentemente il trattato di creazione dell'Unione Sovietica del 1922 e sancendo così la secessione dall'URSS[5]. Il 10 dicembre era stato ratificato da Bielorussia[6] e Ucraina[7].

Con i protocolli di Alma-Ata, stipulati il 21 dicembre 1991 nell'omonima città in Kazakistan, i rappresentanti di tutte le repubbliche sovietiche (ad eccezione della Georgia e delle repubbliche baltiche) confermarono lo smembramento e quindi l'estinzione dell'Unione a favore del CSI. I protocolli chiarirono inoltre le disambiguazioni e le questioni pratiche generate dall'estinzione dell'Unione. I protocolli furono ratificati:

L'adesione alla CSI fu poi formalizzata anche dall'Azerbaigian e dalla Georgia su proposta del Consiglio dei Capi di Stato rispettivamente del 24 settembre[10] e 3 dicembre 1993[11], sulla base del par. 3 dell'art. 7 dello statuto della CSI.

Qualche anno dopo Gorbačëv fu critico nei confronti dell'accordo, scrivendo in uno dei suoi libri:

(EN)

«...The fate of the multinational State cannot be determined by the will of the leaders of three republics. The question should be decided only by constitutional means with the participation of all sovereign states and taking into account the will of all their citizens. The statement that Unionwide legal norms would cease to be in effect is also illegal and dangerous; it can only worsen the chaos and anarchy in society. The hastiness with which the document appeared is also of serious concern. It was not discussed by the populations nor by the Supreme Soviets of the republics in whose name it was signed. Even worse, it appeared at the moment when the draft treaty for a Union of Sovereign States, drafted by the USSR State Council, was being discussed by the parliaments of the republics.»

(IT)

«...Il destino di uno Stato multinazionale non può essere determinato dalla volontà dei leader di tre repubbliche. La questione dovrebbe essere risolta solo per vie costituzionali con la partecipazione di tutti gli stati sovrani e considerando la volontà di tutti i loro cittadini. La frase secondo la quale le leggi cesserebbero di avere validità è illegale e pericolosa; può soltanto peggiorare lo stato di caos e anarchia. La fretta con cui il documento è apparso è anch'essa un'ulteriore preoccupazione. Questo non è stato discusso dalla popolazione né tantomeno dal Soviet Supremo delle Repubbliche nel cui nome è stato stipulato. Ancora peggio, il documento è stato presentato mentre la bozza di un trattato per l'Unione di Stati Sovrani, preparato dal Consiglio di Stato dell'URSS, era in discussione presso i Parlamenti delle Repubbliche.»

Eventi successivi e conseguenze

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Fine dell'Unione Sovietica

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Tuttavia, per quattro giorni ancora il Governo Federale Sovietico continuò ad esercitare le proprie funzioni, almeno formalmente. Il governo però, non più supportato dal Cremlino né dalle altre strutture di potere, cadde con le dimissioni di Michail Gorbačëv da presidente dell'Unione Sovietica, presentate e accettate il 25 dicembre 1991. I suoi poteri passarono a Boris El'cin, che divenne il primo presidente della Federazione Russa, sancendo di fatto il termine della breve esistenza del Governo Federale Sovietico e la dissoluzione dell'Unione Sovietica.

La bandiera rossa venne definitivamente ammainata al Cremlino la notte del 25 dicembre, sostituita dal tricolore di Pietro il Grande[12][13]. Lo stesso giorno la RSFS Russa mutò la propria denominazione amministrativa in Federazione Russa, l'ultimo atto formale dell'emancipazione dall'Unione.

Il giorno successivo, il 26 dicembre 1991, il Soviet Supremo dell'Unione Sovietica (il più alto corpo governativo dell'URSS) venne sciolto come riconoscimento della dissoluzione dell'Unione.

Rapporti con l'ONU

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Tra le varie questioni, i protocolli di Alma-Ata supportavano la rivendicazione della Federazione Russa di essere riconosciuta come stato successore dell'Unione Sovietica ai fini dei rapporti con l'Organizzazione delle Nazioni Unite.

Nel giorno del suo insediamento al Cremlino, il 25 dicembre 1991, il presidente russo Boris El'cin informò il Segretario generale delle Nazioni Unite della dissoluzione dell'Unione Sovietica e dell'istituzione della Federazione Russa come successore come membro dell'ONU e membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. La lettera informava che:

(EN)

«...the membership of the Union of Soviet Socialist Republics in the United Nations, including the Security Council and all other organs and organizations of the United Nations system, is being continued by the Russian Federation (RSFSR) with the support of the countries of the Commonwealth of Independent States. In this connection, I request that the name "the Russian Federation" should be used in the United Nations in place of the name "the Union of Soviet Socialist Republics".

The Russian Federation maintains full responsibility for all the rights and obligations of the USSR under the Charter of the United Nations, including the financial obligations.

I request you to consider this letter as confirmation of the credentials to represent the Russian Federation in the United Nations organs for all the persons currently holding the credentials of representatives of the USSR to the United Nations.»

(IT)

«...lo stato della Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche come membro presso le Nazioni Unite, inclusi il Consiglio di Sicurezza e tutti gli altri organi del sistema delle Nazioni Unite, è protratto dalla Federazione Russa (RSFSR) con il supporto dei Paesi della Comunità degli Stati Indipendenti. In relazione a ciò, richiedo che il nome "Federazione Russa" venga utilizzato presso le Nazioni Unite invece del nome "Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche".

La Federazione Russa mantiene la piena responsabilità per tutti i diritti e gli obblighi dell'URSS stabiliti nello Statuto delle Nazioni Unite, inclusi gli obblighi finanziari.

Richiedo di considerare questa lettera come conferma delle credenziali di rappresentanza della Federazione Russa presso gli organi delle Nazioni Unite per tutte le persone al momento in possesso di credenziali di rappresentanza dell'URSS presso le Nazioni Unite.»

Non avendo ricevuto alcuna obiezione da parte dei membri, la proposta fu avallata e il 31 gennaio 1992 lo stesso El'cin poté prendere parte al Consiglio di Sicurezza come rappresentante della Russia.

Ulteriori sviluppi

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Il 12 agosto 2008, il presidente georgiano Mikheil Saak'ashvili annunciò l'intenzione della Repubblica di Georgia di recedere dalla CSI come risposta all'intervento militare russo nell'ambito della seconda guerra in Ossezia del Sud. Il 12 giugno 2009 il parlamento georgiano completò formalmente la procedura di uscita, che venne approvata all'unanimità dal gruppo interparlamentare della CSI[14].

  1. ^ Osservatorio internazionale. Le Repubbliche ex sovietiche: 4) la Comunità degli Stati Indipendenti, su senato.it, Bimestrale della Biblioteca 'Giovanni Spadolini', Senato della Repubblica, agosto 2009. URL consultato il 5 ottobre 2013.
  2. ^ a b (EN) Il testo dell'accordo, su memory.loc.gov.
  3. ^ (EN) 14 Years of Belavezha Accords’ Signing, su charter97.org, charter97.org, 8 dicembre 2005. URL consultato il 1º settembre 2013 (archiviato dall'url originale il 3 febbraio 2007).
  4. ^ Valentino Paolo, Pane nero, vodka e sauna russa. Quella cena che cancellò l'Urss, in Corriere della Sera, 9 dicembre 2011. URL consultato il 1º settembre 2013 (archiviato dall'url originale il 1º gennaio 2016).
  5. ^ (RU) Trascrizione del 21° bollettino della 4ª sessione del Soviet Supremo del 12 dicembre 1991 (PDF), su comstol.info, pubblicazione del Soviet Supremo.
  6. ^ (RU) Risoluzione del Consiglio Supremo della Repubblica di Belarus del 10 dicembre 1991. № 1296-XII Sulla ratifica dell'accordo sulla formazione della Comunità degli Stati Indipendenti, su busel.org. URL consultato il 1º settembre 2013 (archiviato dall'url originale il 3 dicembre 2013).
  7. ^ (RU) Risoluzione del Parlamento dell'Ucraina sulla ratifica dell'Accordo che istituisce la Comunità degli Stati Indipendenti (1991), su constituanta.blogspot.ru.
  8. ^ (RU) Risoluzione del Soviet Supremo della Repubblica del Kazakhstan in data 23 dicembre 1991. № 1026-XII Sulla ratifica dell'accordo sull'istituzione della Comunità degli Stati Indipendenti, su epravo.kz (archiviato dall'url originale il 9 novembre 2013).
  9. ^ (RU) Risoluzione del Soviet Supremo della Repubblica di Tagikistan sul 25 dicembre 1991. № 462 Sulla ratifica dell'accordo sull'istituzione della Comunità degli Stati Indipendenti (DOC) [collegamento interrotto], su parlament.tj.
  10. ^ (RU) Adesione della Repubblica di Azerbaigian alla Comunità degli Stati Indipendenti, su cis.minsk.by, CSI.
  11. ^ (RU) Adesione della Repubblica di Georgia alla Comunità degli Stati Indipendenti, su base.spinform.ru, CSI.
  12. ^ Laurence Figà-Talamanca, Urss: 1991, quel giorno che fu ammainata la bandiera rossa, in ANSA. URL consultato il 1º settembre 2013.
  13. ^ Bernard Guetta, Ultimi giorni al Cremlino, in la Repubblica, 21 dicembre 2001. URL consultato il 1º settembre 2013.
  14. ^ (RU) Парламент Грузии юридически завершил выход страны из СНГ, su ria.ru, ria.ru, 12 giugno 2009. URL consultato il 1º settembre 2013.

Voci correlate

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