Nicola Palomba

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«Verso la stessa ora una colonna francese condotta da Kellermann risaliva da S. Lucia, essa era preceduta da un Prete patriotta tenendo un fucile in mano. Questo prete era d’Avigliano, e chiamavasi Nicola Palomba.»

Nicola Palomba (Avigliano, 23 ottobre 1746Napoli, 14 ottobre 1799) è stato un presbitero, patriota, politico, generale, rivoluzionario, docente, giurista e massone italiano; fu tra i fondatori della Repubblica Napoletana del 1799 e con Felice Mastrangelo organizzò la cosiddetta Rivoluzione altamurana[1].

Nicola Palomba
Monumento ai martiri della Rivoluzione altamurana (1799), situato in piazza Duomo (Altamura)


Commissario Generale della Repubblica Napoletana per il Dipartimento del Bradano
Durata mandato26 febbraio 1799 –
14 maggio 1799
Capo di StatoÉtienne Jacques Joseph Alexandre Macdonald
PresidenteIgnazio Ciaia
Giuseppe Antonio Abbamonte
Vice
  • Giovanni Battista Marone
  • Giacomo Rossi
Predecessorecarica creata
Successore

Elettore per il Dipartimento del Bradano
Durata mandato23 gennaio 1799 –
25 febbraio 1799
Capo di StatoJean Étienne Championnet
PresidenteCarlo Lauberg
Predecessorecarica creata
Successorecarica abolita
Incarichi parlamentari
  • Membro della commissione centrale del Governo Provvisorio, con l'incarico di organizzare la guardia nazionale

Dati generali
Prefisso onorificoDon
Partito politicoGiacobino
Titolo di studiolaurea in diritto civile e canonico (UJD)
UniversitàUniversità dei Regi Studi di Napoli
ProfessioneSacerdote
Nicola Palomba
Soprannome"lo zelante patriota"
NascitaAvigliano, 23 ottobre 1746
MorteNapoli, 14 ottobre 1799
Cause della morteimpiccagione
Luogo di sepolturaChiesa di Sant'Alessio
Dati militari
Paese servito Repubblica Francese

Repubblica Napoletana

Forza armataEsercito della Repubblica Napoletana
ArmaFanteria
Anni di servizio1799
GradoGenerale
ComandantiJean Étienne Championnet

Étienne Jacques Joseph Alexandre Macdonald

Guerre
Battaglie
AzioniOccupazione di Castelnuovo (23 gennaio 1799)
Frase celebreVile schiavo! Io non ho saputo comprar mai la vita con l'infamia!
Altre caricheMembro della commissione centrale del Governo Provvisorio, con l'incarico di organizzare la guardia nazionale
Nemici storiciCardinale Fabrizio Ruffo
Giambattista De Cesari
Francesco Carbone
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Famiglia ed istruzione

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Don Nicola Palomba (battezzato lo stesso giorno della sua nascita Niccolò Francesco Saverio Vito Pasquale Palomba in onore del nonno paterno Don Nicola Francesco), a volte scritto erroneamente Palombo o Palumbo, nacque il 23 ottobre 1746 ad Avigliano presso il palazzo di famiglia, da un'antica e ricca famiglia gentilizia di latifondisti agrari, stanziatasi in loco quantomeno dalla prima metà del XVI secolo. La famiglia paterna vantava antiche origini spagnole, con l’arrivo nella Napoli del Regno di Sicilia intorno al 1200 con il cavaliere Consalvo, dal quale avrebbero avuto origine i vari rami - originariamente denominati “della Palomba” - fra i quali anche il ramo dei marchesi di Cesa e Baroni di Pascarola e Torre Carbonaia. La famiglia materna, antica famiglia di proprietari terrieri di Forenza, era connotata da una tradizione notarile. Il battesimo dell'appena nato Nicola fu celebrato nella cappella di famiglia, consacrata a San Francesco da Paola, dal sacerdote Don Giambattista Sarnelli, con la madrina designata dalla famiglia, Donna Francesca Vitamore. La famiglia paterna, oltre ad essere imparentata strettamente con le altre famiglie gentilizie di Avigliano, quali i Gagliardi, i Corbo ed i Salinas, possedeva un vasto latifondo non limitato alla sola Avigliano, ma esteso anche in Puglia, nei pressi di Ascoli, dove si configurava come un prospero feudo agricolo cinto di torri. Il padre, il Magnifico Don Giovanni Battista Francesco Gerardo Palomba (Avigliano, 1719) aveva sposato Donna Maria Orsola Pacifico di Forenza, dal cui matrimonio nacquero Raffaele (1740), Maria Gerarda (1742), Caterina Dorotea (1743), Nicola (1746-1799),Vincenzo (1749), Gennaro (1751-1828), Giustiniano (1751-1799), Pasquale e Domenica Vincenza. Due zii paterni, particolarmente influenti nella futura doppia formazione giuridica di Nicola furono i fratelli minori del padre Don Alessandro Francesco Gerardo (1723), sacerdote e l'avvocato Don Francesco Gerardo Vincenzo Pietro Emanuele (1725).

Dopo un’originaria educazione presso il palazzo paterno condotta da un precettore, Nicola e Gennaro furono indirizzati dalla famiglia verso la carriera ecclesiastica venendo educati nel seminario di Potenza dal quale uscirono sacerdoti, approfondendo lo studio delle lingue greca e latina. Nicola, in particolare modo, indossò gli abiti dell'ordine benedettino, assumendo il titolo di abate. Sull'onda del fervente spirito culturale famigliare proseguì i suoi studi presso l'Università dei Regi Studi di Napoli laureandosi in diritto civile e canonico e, per via della sua doppia cultura, veniva spesso consultato in difficili questioni forensi. Attraverso lo studio della lingua francese ebbe poi modo di approfondire direttamente i testi degli illuministi e dei giacobini rivoluzionari, attraverso i quali orientò la propria forma mentis agli ideali repubblicani.

Massone e giacobino

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A Napoli si dedicò ad attività didattiche e fu affiliato alla loggia massonica La Perfetta Unione in seno al Rito Egizio Tradizionale del principe Raimondo di Sangro, ricoprendo ruoli importanti[2] nella loggia napoletana del principe di San Severo e avendo come fratelli massoni, tra gli altri, Cagliostro e il Gran Maestro Vincenzo di Sangro. Nel 1782 dovette poi ritornare presso la natia Avigliano in seguito ad un'accusa per omicidio, che sostenne dinanzi alla Regia Udienza di Basilicata insieme al fratello Gennaro. L'accusa si rivelò priva di fondamento e poté così ritornare a Napoli. Oltre all’esperienza massonica partenopea ebbe modo di entrare anche a far parte della loggia romana denominata “Reunion des Amis Sincers”, in seguito ad un soggiorno a Roma avvenuto nel 1787 - loggia quest’ultima facente direttamente capo al Grande Oriente di Francia. Attraverso questa loggia ebbe modo di stringere sodalizi con esponenti del mondo aristocratico e del panorama artistico romano. Secondo i verbali del processo Cagliostro,[3] Palomba ebbe nel 1788 delle divergenze con l'abate Chefneux, anch'egli membro della Perfetta Unione, e per questo si allontanò dalla loggia per poi riavvicinarvisi nel gennaio 1789 (ufficialmente il 9 Gennaio 1789 secondo quanto riportato in una lettera del Principe di Sansevero). Nel 1793 partecipò alle attività della Società Patriottica Napoletana di Carlo Lauberg di ispirazione giacobina, dove fece parte della fazione Romo (Repubblica o Morte). Finì per essere coinvolto nelle accuse della congiura giacobina del 1794 e per questo dovette lasciare di nuovo Napoli. Fu il promotore dell'esportazione della massoneria in Basilicata, fondando una loggia massonica ad Avigliano, alla quale aderirono gli altri membri dell'élite locale (dagli elenchi pervenuti si attestano Carlo Corbo, Francesco Saverio Corbo, Giulio Corbo, Nicola Maria Corbo, il sacerdote e letterato Girolamo Gagliardi Senior, Girolamo Gagliardi Junior suo nipote, Vincenzo Masi, i fratelli Palomba stessi comprensivi di Giustiniano Palomba e Gennaro, Deodato Siniscalchi, Girolamo e Michelangelo Vaccaro ed Andrea Verrastro). Durante l'occupazione francese del 1799, fu investito del 90º ed ultimo grado del Rito Egizio assumendo il ruolo di Gran Jerofante dell'Ordine ed iniziò agli alti gradi del Rito (gli arcana arcanorum) l'ufficiale francese Gad Bedarride padre di Marc Bédarride, fondatore del Rito Egizio di Misraim nel 1813.

Incarichi nella Repubblica Napoletana

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Lo stesso argomento in dettaglio: Repubblica napoletana (1799).
L'albero della libertà eretto a Napoli il 23 gennaio 1799
Nomina dei commissari dipartimentali della Repubblica

Dopo il fallimento della congiura del 1794, si ritirò nuovamente ad Avigliano, mantenendo frequenti contatti con i compagni della capitale ed assumendo il ruolo di parroco. Nel 1798 riuscì a sottrarre all'arresto il compaesano Michelangelo Vaccaro, aiutandolo a rifugiarsi in Francia. Avuta notizia della fuga del Re Ferdinando nel 1799, raggiunse Napoli con i fratelli Gennaro e Giustiniano per prendere parte ai combattimenti che porteranno alla deposizione del Re e alla nascita della Repubblica Napoletana. Il 22 gennaio morì eroicamente il nipote Don Francesco Paolo Palomba nell'assalto a Castel Sant'Elmo. Il giorno seguente Nicola Palomba, assieme al generale François Étienne Kellermann, guidò i soldati francesi e i repubblicani all'occupazione di Castelnuovo.

«Come seppe però la fuga del Re, partì per Napoli insieme ai fratelli Gennaro, prete come lui, e Giustiniano il quale tasse seco anche il figliol suo giovane ancora ventenne, per nome Francesco Paolo. Giunti in Napoli nei giorni dell'anarchia popolare, dettero prove non dubbie di patriottismo e di valore. Il giovane Francesco Paolo il giorno 22 gennaio 1799 combattè valorosamente tra le fila dei francesi che da Castel S. Elmo scesero per la via di Sette Dolori, e fatalmente vi trovò la morte, insieme con Antonio Moscatelli di Trani. Il padre e lo zio Gennaro dalla casa in via Pignasecca dove avevano preso alloggio, fecero vivo fuoco sulla plebaglia, che in quei dì fu padrona di Napoli. Niccolò intanto era accorso con gli altri patrioti a S. Elmo. E quando la schiera comandata dal capo battaglione Kellerman discese, il giorno 23 verso le ore 16 dalle alture di S. Lucia del Monte, e quindi per la stessa via dei Sette Dolori, Niccolò Palomba armato di schioppo andava innanzi. Arditamente quel manipolo di francesi e di patrioti, provvisto di torce incendiarie, traversò Toledo, preceduto sempre dal prete Aviglianese, tirando e ricevendo colpi dalla plebaglia che faceva gruppi alle cantonate. E quindi a Castelnuovo diè subitamente l'assalto, e, sostenuto da S. Elmo, vi entrò, sbaragliando i popolani che vi si erano chiusi. Erano 17 ore e fu vista issata sul forte la bandiera repubblicana.»

Il 9 febbraio, in occasione dell'innalzamento dell'albero della libertà, in quanto promotore della festa, gli venne affidato il compito di pronunciare il discorso ufficiale in cui invitava i cittadini "a venire a dividere meco la gloria di difendere la nostra nascente Repubblica"[4]. Nominato Elettore, ovvero rappresentante dell'assemblea elettorale del suo dipartimento, fu membro della commissione centrale per l'organizzazione della guardia nazionale, incaricata della scelta e la nomina degli ufficiali insieme ad altri 23 elettori tra cui Gennaro Serra di Cassano e Giuseppe Laghezza. Molto critico verso la politica applicata dal governo, da lui giudicata troppo moderata, fu il principale accusatore del presidente del Comitato delle Finanze Prosdocimo Rotondo, membro del governo provvisorio a cui veniva addebitato di essersi appropriato di ingenti somme di denaro percepite con la riscossione delle tasse. Produsse contro Rotondo ben 22 capi d'accusa. L’accusa non ebbe seguito perché Palomba non aveva prove ma si limitava a dare risalto a dicerie probabilmente senza fondamento[5][6].

Il 26 febbraio 1799 venne nominato dal governo provvisorio Commissario generale del dipartimento del Bradano, venendo affiancato dal generale Felice Mastrangelo. Questa alta carica amministrativa, con stipendio annuo di 600 ducati, era ambita perché consentiva di essere eleggibili al senato della repubblica. Probabilmente la scelta di Palomba come governatore di questa provincia fu presa per allontanarlo da Napoli a seguito dell'arresto di Championnet il 24 febbraio e della sostituzione di Carlo Lauberg con il moderato Ignazio Ciaia il 25 febbraio. Il dipartimento assegnatogli comprendeva i Cantoni di Matera, Altamura, Molfetta, Bisceglie, Trani, Barletta, Montepeloso (odierna Irsina), Potenza, Marsico Nuovo, Montemurro, Stigliano e Pisticci. Fu nominato anche colonnello e comandante di una sezione di guardie civiche[7].

Alcune città del suo dipartimento, tra cui la stessa Matera che fungeva da capoluogo del Bradano, dettero segni di rivolta e Palomba chiamò in soccorso il generale francese Jean-Baptiste Broussier, il quale però non si mosse perché, come sostenuto da Vincenzo Cuoco, probabilmente attendeva la sollevazione della città così da poterla far saccheggiare dai suoi. Dopo le ripetute insistenze di Palomba, il generale francese si incamminò alla volta Matera ma durante la marcia ricevette l'ordine di tornare a Napoli. Matera, ora libera dal timore dell'esercito francese e visto l'approssimarsi dell'esercito della Santa Fede comandato dal Cardinale Fabrizio Ruffo, passò definitivamente dalla parte dei realisti.

Assedio di Altamura

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Il Dipartimento del Bradano

Il commissario Palomba e il generale Mastrangelo raggiunsero l'11 marzo con due squadroni di cavalleria Altamura che, essendo Matera diventata una città realista, divenne di fatto la sede del governo dipartimentale[4][8]. In quella città Palomba si mise subito in netta opposizione con gli indirizzi assunti dalla Municipalità sostenendo una linea intransigente, per niente incline al dialogo con la fazione realista. Fu una stagione caratterizzata da processi e minacce di pubbliche esecuzioni, che ebbero come effetto immediato quello di generare una profonda lacerazione e un crescente clima di diffidenza reciproca tra i membri della Municipalità e il commissario dipartimentale. Momenti di forte tensione avvennero in occasione degli arresti e dei processi istituiti ai danni di tre frati domenicani, tutti accusati di cospirazione poiché avevano espresso apprezzamento per il rovesciato governo borbonico e avevano mantenuto contatti con i realisti. Palomba fece inoltre convertire il locale convento di San Francesco in un carcere e instaurò una gestione della giustizia particolarmente dura anche per accuse di poco conto.

Palomba assunse il titolo di Generale e comandò con Mastrangelo la difesa della città durante l'assedio delle truppe del Cardinale. Lo scontro con l'Esercito della Santa Fede era infatti oramai imminente e gli altamurani non persero tempo e organizzarono un campo militare sul punto più elevato di Altamura, fondendo le campane delle chiese al fine di ottenere nuovi cannoni. La mattina del 7 maggio il Cardinale Ruffo inviò da Matera verso Altamura l'ufficiale Raffaele Vecchioni, al fine di discutere la resa. Entrò in città bendato, ma non fece più ritorno. La sera dell'8 maggio, il Cardinale ordinò al comandante Giambattista De Cesari di partire quella notte stessa con il resto della truppa di linea e con una porzione delle truppe irregolari per restringere il blocco di Altamura. Tutto il resto delle truppe irregolari e moltissime persone accorse dai paesi vicini, vedendo partire De Cesari e sperando di poter approfittare del saccheggio della città, si unirono a loro.

Palomba e Mastrangelo, con i loro 1200 uomini mal equipaggiati e con pochi cannoni, dovettero contrastare l'assedio dei circa 20.000 sanfedisti che avevano circondato la città. La mattina del 9 maggio sopraggiunse anche Ruffo e non molto tempo dopo i difensori cominciarono a sparare vari colpi di cannone dando inizio alla battaglia. Le perdite tra i sanfedisti furono consistenti, tanto che il Cardinale a un certo punto pensò di rinunciare al proposito di prendere Altamura, strenuamente difesa dai repubblicani tanto da essere poi soprannominata leonessa di Puglia. De Cesari, però, lo persuase a non abbandonare la posizione e a proseguire l'assedio perché nel corso dei combattimenti gli altamurani cominciarono a sparare dai loro cannoni monete e ferraglia varia. Questo episodio fece comprendere a Ruffo che la resistenza della città non sarebbe durata ancora a lungo. Dopo 13 ore di fuoco ininterrotto dell'artiglieria altamurana cominciarono infatti a scarseggiare le munizioni e si caricarono i cannoni con sacchetti di monete in rame e d'argento e con altri oggetti di ferro.

I comandanti Palomba e Mastrangelo, dopo aver rifiutato ogni proposta di resa e valutando che Altamura non poteva più difendersi, ordinarono la fucilazione dei 48 prigionieri detenuti nel convento di San Francesco provvedendo alla sommaria sepoltura dei loro corpi nelle tombe dei religiosi e lasciarono la città fuggendo da una porta non presidiata dai nemici[9]. Diedero la possibilità di abbandonare la città a tutti gli abitanti dando l'ordine di aprire le due porte delle mura del versante opposto a quello dove si svolgevano le operazioni belliche. Il 10 maggio gli uomini di Ruffo entrarono in una città semideserta, abbandonandosi a un cruento saccheggio, che costituisce uno degli episodi più drammatici e spietati del sanfedismo.

Arresto e morte

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Stele eretta ad Avigliano in memoria degli aviglianesi che presero parte alla rivoluzione napoletana del 1799. Il 3° riquadro rappresenta Palomba entrare a Napoli con il generale Kellermann, il 7° riquadro rappresenta la sua impiccagione in piazza del mercato

Palomba, dopo la caduta delle città repubblicane del suo dipartimento, meditò in un primo momento di chiedere soccorso a Bari e Barletta dirigendosi verso la marina, per poi mutare direzione e raggiungere Napoli dove, affranto per la sconfitta, tentò di strangolarsi venendo fermato da un domestico. Riferì al governo della perdita di Altamura, la cui difesa era stata affidata a lui e a Mastrangelo, e della superiorità dell'esercito di Ruffo. Disse più del vero per discolparsi della fuga da Altamura e fu quindi arrestato e rinchiuso a Castelnuovo per essere poi sottoposto a giudizio. Questo provvedimento fu preso anche per evitare di rendere pubbliche le notizie sulla reale forza dei sanfedisti e le province da loro conquistate[10].

A seguito della conquista sanfedista di Napoli nel giugno 1799, il cardinale Ruffo concesse ai repubblicani, in cambio della resa, la possibilità di fuggire in Francia. Tuttavia l'ammiraglio Nelson non volle rispettare questo termine della capitolazione e li fece arrestare. Tra loro c'era anche Palomba che, secondo lo storico De Nicola, si sarebbe rifugiato su una nave presente nel porto pronta a salpare per Tolone ma, riconosciuto, venne arrestato e rinchiuso in Castel dell'Ovo. In quanto membro del governo della Repubblica Napoletana, dopo la restaurazione della monarchia, Palomba fu accusato di tradimento e lesa maestà e condannato a morte dalla Giunta di Stato il 12 ottobre 1799. Lo stesso giorno, senza attendere la real risoluzione (che sarà ratifica il 7 novembre successivo), la Giunta comunicò al Generale Daniele De Gambs, capo della guardia di piazza, le disposizioni per il trasferimento del condannato e la disposizione delle forze di sicurezza necessarie. Nella notte di quello stesso giorno fu trasferito nel Castello del Carmine per poi essere giustiziato il lunedì 14 ottobre 1799 assieme al generale Felice Mastrangelo, al capitano Antonio Tocco e al tenente Pasquale Assisi, in Piazza del Mercato, a Napoli.

Vincenzo Cuoco ne ricorda il fermo atteggiamento prima della morte[11]. Poco prima di salire sul patibolo, il commesso del fisco gli propose di avere salva la vita se in cambio avesse denunciato altri rivoluzionari. A questa proposta Nicola Palomba, ad alta voce, in modo che tutti i presenti sentissero, rispose:

«Vile schiavo! Io non ho saputo comprar mai la vita con l'infamia!»

Secondo Alexandre Dumas (padre)[12], invece, la sua risposta fu:

«Miserabile! Credi tu che sia ad uomini come me che si possa proporre di riscattare la propria vita al prezzo del proprio onore?»

Sprezzante verso i carnefici, morì con grande coraggio, salendo per primo sul patibolo, alle ore 18:00. Il suo corpo fu sepolto a Napoli nella Chiesa di Sant'Alessio al Lavinaio.

La notizia dell'avvenuta pena capitale venne notificata ad Avigliano, dove il clero annotò il suo decesso con tali parole:

«Die Decima septima mensis julii anno 1799. Reverendus Dominus Nicolaus Palomba in difficillimis temporibus Neapoli interfectus»

Il successivo 31 Marzo 1800 il fratello Don Giustiniano Palomba venne giustiziato a Matera, lasciando come unico superstite della generazione rivoluzionaria della nobile famiglia Palomba il fratello sacerdote Don Gennaro, rifugiatosi a Marsiglia, e di ritorno in patria solo nel 1801, grazie all’amnistia offerta dal Trattato di Firenze. L’unico figlio maschio superstite di Don Giustiniano ebbe discendenza, impiantatasi in Napoli ed attestata ancora florida dal saggista Luigi Conforti nel 1889. La linea dei Palomba di Avigliano si estinse poi con Donna Nicoletta (così chiamata in onore dello zio e deceduta nel 1838), figlia di Don Giustiniano, che ebbe discendenza con il latifondista Don Francesco Telesca di Domenico, membro del notabilato aviglianese.

Albero genealogico

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Stemma della famiglia Palomba
 Consalvo
XIII secolo
Cavaliere
 
 
 
Palomba di Napoli
 
 
 Signore Don Antonello
-1451
 
 
 
Palomba di Napoli e poi di Avigliano
 
 
 Magnifico Don Giovanni
-1537
Notaio
 
 
 Magnifico Don Giovanni
-1555
 
 
 Magnifico Don Marco Antonio
 
 
 Magnifico Don Giovanni
Dottore in utroque jure e Consultore del Vescovo di Muro
 
 
 Magnifico Don Cesare
Notaio
sp. Vittoria De Carluccio
2 ⚭ Clementia Martinelli
 
                
 Magnifico Don Giovanni Battista
1648-1712
Notaio
1 ⚭ Caterina Coviello
sp. Isabella Gagliardi
Giuseppe Mattia
1631
sp. Camilla Coviello
Beatrice Laura
1633
Reverendo Don Carlo Gennaro
1634
sacerdote
Laura Ippolita
1636
Barbara Benedetta
1641
Caterina Beatrice
1642
sp. Giuseppe Colangelo
Marco Antonio
1644
sacerdote
Beatrice Monica
1646
Angelo Innocenzio
1650
Iacono Filippo Francesco
1653
Gaetano Andrea Eligio
1655
Anna Crescenzia
1658
Iacono Tommaso
1660
Francesco Domenico
1663
Barbara

sp. Don Domenico Guglielmo, dottore in utroque jure
 
         
 Magnifico Don Nicola Francesco
1686-?
Dottor Fisico
sp. Maria Camilla Ruoti
Clemenza Ippolita Antonia
1669
sp. Don Francesco Gagliardi
Cesare Antonio Francesco
1671
Barbara Antonia
1673
Pietro Luca Antonio
1674
Nicola Antonio
1682
Nicola Antonio Vito
1684
Stanislago Vito Antonio
1687
Gianfrancesco Bartolomeo
1691
 
   
 Giovanni Francesco
1719-?
Nobile vivente
sp. Orsola Pacifico
Emanuele
1725
Avvocato
Alessandro
1723
Sacerdote
 
         
Raffaele
c. 1740-?
Maria Gerarda
1742-?
Caterina Dorotea
1743-?
Nicola
1746-1799
Sacerdote, politico e generale rivoluzionario
Vincenzo
1749-?
Giustiniano
1751-1800
Avvocato e politico giacobino
sp. Angela Maria Parrini
Gennaro
1751-1828
Sacerdote e rivoluzionario
Pasquale
Domenica Vincenza
 
         
 Giuseppe
1776-1799
Avvocato, rivoluzionario e martire della Repubblica Napoletana
Francesco Paolo
1779-1799
Rivoluzionario e martire della Repubblica Napoletana
Raffaele
1780-1799
Rivoluzionario e martire della Repubblica Napoletana
Antonio Maria Emanuele
1781-1814
sp. Maria Giuseppa Cubelli
Amalia
c.1791-?
sp. Canio Manfredi
 Nicoletta
c.1793-1838
sp. Francesco Telesca
Angelo Maria
Nicola
Maria Teresa Rafaele
1795
  
     
 Luigi
1811→1889
Nicola
1807
Antonio
Angela Maria Telesca
1818-1890
sp. Don Raffaele Tasca
Domenico Antonio Telesca
1838
  
  
 Palomba di Napoli
 Salvatore Vincenzo Giulio Teodoro Ferdinando Tasca
1851
Segretario Comunale Capo di Ruvo del Monte, Rapolla e Melfi
sp. Lucietta Telesca
 
           
 Angela Filomena Evelina
1876
Elettra
1879-1911
sp. Vincenzo Francesco Saverio Orsi (1873-1932), Geometra Principale Uffici tecnici di finanza di Potenza
Claudina
1884-1902
Gilda
1886-1913
Atenaide
1889
Gustavo
1891
geometra
Clementina
1893-1893
Olga
1894
Clara
1896
Ines
1899
Otello
1901
Professore dell'Accademia di belle arti di Napoli
Sigillo della Loggia Perfetta Unione, fondata a Napoli nel 1728, del cui “cerchio interno” Don Nicola fu uno dei principali esponenti

Il pensiero e la filosofia di Don Nicola Palomba si pongono nel complesso scenario delle elites culturalmente avanzate della seconda metà del XVIII secolo. La famiglia Palomba, forte di grandi rendite fondiarie e di una cultura giuridica secolare, fornì ai fratelli Nicola, Giustiniano e Gennaro un'istruzione di elevato livello. Nella figura del sacerdote e dottore in utroque jure aviglianese gli aspetti più estremisti del giacobinismo insurrezionale (l'idea della Repubblica a costo del sacrificio della propria vita trova riscontro nella sua adesione alla fazione ROMO della società di Carlo Lauberg) persistettero anche nella fase del giacobinismo istituzionale della quale fu promotore in quanto membro del governo della Repubblica Partenopea del 1799. L'ardente atteggiamento patriottico e la fattività con la quale egli guidò in prima persona le truppe giacobine, prima a Napoli e poi come commissario e generale del dipartimento del Bradano portarono alcuni storici, come Luigi Conforti, a definirlo "il più grande patriota". L'apparente contrasto agli ideali religiosi delle posizioni giacobine in merito trova sintesi nella figura tanto di Don Nicola, quanto di altri esponenti del clero alto che parteciparono ai moti del 1799, (basti pensare a Giovanni Andrea Serrao, vescovo di Potenza ed influenzato tanto quanto Nicola dalle idee del vescovo conte Carlo Gagliardi - peraltro lontano parente della stessa famiglia Palomba). Il repubblicanesimo di Don Nicola trova altresì riscontro nella sua adesione alla massoneria, in chiave rinnovatrice degli antichi ideali repubblicani romani. Il suo raggiungimento delle cariche supreme del Rito di Misraim somma agli ideali rivoluzionari e repubblicani del sacerdote lucano un'adesione ai principi dell'esoterismo, dell'ermetismo e dello spiritualismo, che lo condussero ad esportare per primo la massoneria in Basilicata.

Nella vasta serie di autori che hanno analizzato storicamente la figura di Don Nicola Palomba in riferimento alle vicende della Repubblica Napoletana è da segnalarsi Alexandre Dumas (padre) nella monumentale opera "I Borbone di Napoli", oltre che lo storico Tommaso Pedio. Egli compare anche come uno dei protagonisti dell'opera teatrale in atto unico "Gesù di Napoli" di Salvatore Macri. Eleonora Pimentel Fonseca nel Monitore Napoletano definì Nicola Palomba "lo zelante patriota"[13]. Se ne conservano attestazioni sparse presso il registro dei dispacci del Ministero degli affari ecclesiastici dell’Archivio di Stato di Napoli. A lui ed agli altri membri della famiglia gentilizia è inoltre dedicata una delle vie principali di Avigliano, denominata Via Palomba.

  1. ^ Tra i protagonisti del movimento rivoluzionario Nicola Palomba, che partecipò attivamente alla formazione del Governo Provvisorio, tenne in Napoli il discorso ufficiale in occasione della piantagione dall'albero della libertà. Nominato generale dell'Armata Repubblicana, fu inviato in Basilicata con le mansioni di Commissario organizzatore
  2. ^ fu Maestro massone e Gran conservatore del Rito Egizio nel 1799.
  3. ^ La Massoneria nelle Due Sicilie volume III pag. 30.
  4. ^ a b Pittella.
  5. ^ Vincenzo Cuoco, p. 116.
  6. ^ De Majo.
  7. ^ Vite degl'Italiani benemeriti della libertà e della patria, pag. 374
  8. ^ Passetti.
  9. ^ Insieme a Nicola fuggirono anche il fratello Gennaro e i nipoti Antonio e Raffaele (figli di Giustiniano) che avevano preso parte ai combattimenti.
  10. ^ Esame della Storia del reame di Napoli, libro primo pag. 78.
  11. ^ Vincenzo Cuoco, p. 211.
  12. ^ I Borboni di Napoli questa istoria, pubblicata pe' soli lettori dell ... - Alexandre Dumas - Google Libri
  13. ^ Fa però dispiacer a' buoni patrioti la disparità di pareri, e di azioni che regna fral suddetto Comitato rivoluzionario, ed il Cittadino Mastrangiolo, il quale si sa che opera con facoltà del Governo, e ne gode la fiducia; e molto più la disparità col famoso zelante patriota Nicola Palomba Commissario nel dipartimento del Bradano. Questi una co' patrioti di Cerignola avev' arrestato colà Carlo Mari ex‑Principe d'Acquaviva, aristocrate in pessimo concetto a tutti gli amatori della Patria, il Comitato rivoluzionario con gran dispiacere di questi lo ha posto in libertà.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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  • Nicola Palomba, su lucania1.altervista.org. URL consultato il 5 maggio 2019.

Predecessore Commissario Generale del Dipartimento del Bradano Successore
Carica creata 26 febbraio 1799 – 14 maggio 1799 Ferdinando Ruggi d'Aragona

Predecessore Gran Jerofante dell'Ordine di Mizraim Successore
Francesco Mario Pagano 1799 Domenico Bocchini