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Aldo Gargani

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Aldo Giorgio Gargani (1933 – 2009), filosofo italiano.

Citazioni di Aldo Gargani

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  • Ci sono molti modi di fare cultura, ovviamente, ma in ogni caso sono due gli atteggiamenti fondamentali con i quali gli uomini si pongono di fronte ad essa, l'uno è quello di coloro che operano sempre all'interno di essa e che formano perciò le loro idee trascorrendo da un testo all'altro nella continuità di un percorso prestabilito dalla tradizione di quei testi; l'altro è quello più raro, più rischioso ma anche più avvincente di coloro che fanno cultura perché di tempo in tempo si pongono al di fuori di essa, la ribaltano e rovesciandola alla fine producono paradossalmente ancora cultura, ma una cultura che è nuova e che perciò dissolve questo effetto di paradossalità.[1]
  • È un fatto che gli uomini hanno prodotto assai più cose di quanto siano propensi ad ammettere; ma ciò che essi hanno eretto nella forma di costruzioni concettuali elevate e sublimi, come se fossero separate dal caso e dal disordine, corrisponde ad un uso che essi hanno fatto della propria vita.[2]
  • L'opera di Thomas Bernhard rappresenta la più potente e drastica domanda di senso del nostro tempo, così estrema da porre anche se stessa in discussione, incontrando conseguentemente la tensione essenziale che si produce nell'esercizio del linguaggio che fa di se stesso il suo principale e più tormentoso problema.[3]
  • Nell'àmbito filosofico, nell'opera del grande filosofo americano Nelson Goodman, è possibile reperire il riconoscimento delle emozioni e del loro valore cognitivo sulla base di un'operazione di decostruzione della retorica del vero che ha afflitto tutta la tradizione culturale occidentale. Goodman mostra come filosofia e scienza non abbiano in realtà come loro fondamentale obiettivo la verità, perché ciò che in effetti ricerca lo scienziato non è la verità, ma la conferma di un'ipotesi, il suo valore predittivo, l'ampiezza delle sue applicazioni, le sue proprietà pragmatiche e estetiche. Come per Rorty anche per Goodman "vero" è un complimento che noi paghiamo ad una teoria in quanto essa ha potere predittivo: è maneggevole, coerente, consistente, in quanto assolve a criteri pragmatici e a requisiti estetici.[4]
  • Nelson Goodman ha privilegiato i sistemi di rappresentazione e di descrizione rispetto alla sfera dei loro referenti, i quali, considerati indipendentemente dalle strutture simboliche di riferimento, perdono qualsiasi significato e consistenza: «Il nostro orizzonte è costituito dai modi di descrivere tutto ciò che viene descritto. Il nostro universo consiste, per così dire, di questi modi piuttosto che di un mondo o di mondi». Non c'è la base neutrale di una sostanza che sta sotto le differenti versioni del mondo. Quando Goodman dichiara «il mio approccio consiste in un'indagine analitica sui tipi e sulle funzioni dei simboli e dei sistemi simbolici», egli non sta specificando una varietà professionale del suo lavoro intellettuale, ma sta riconvertendo il lavoro filosofico nella direzione e nei termini di un assetto positivamente autoreferenziale delle proprie strumentazioni e delle proprie possibilità. Anziché pretendere di descrivere il mondo nel modo in cui esso è, la filosofia, dopo il «linguistic turn», diventa l'illustrazione delle sue stesse strutture formali. L'opera di Wittgenstein è una molteplice testimonianza della circostanza che nozioni quali «essenza», «realtà prima», di cui ha parlato tutta la tradizione metafisica, esprimono soltanto il nostro profondo bisogno di una convenzione.[5]
  • Per cogliere il valore cognitivo delle emozioni occorre uscire sia dalla visione retorica e raziocinante della sfera affettiva, sia dalla fusionalità immediata. La funzione cognitiva delle emozioni può essere colta soltanto al livello delle procedure costruttive del sistema pensiero-parola. Sono le emozioni che tessono le connessioni fra i concetti e le parole nei quali costruiamo i mondi della conoscenza. L'emozione è infatti il principio motore che connette un simbolo ad un simbolo, un concetto ad un altro. È l'emozione che illumina nuovi aspetti della realtà. Questo non accade quando dico "questa è una bottiglia", ossia quando semplicemente riconosco un paradigma grammaticale; ma se dico "il sorriso di quest'uomo fa pensare ad un'azione criminosa di cui egli sarebbe capace" qui è all'opera un'emozione che connette i termini, che promuove discorso, che organizza un discorso.
    Tutto ciò diventa più chiaro se cominciamo ad abituarci all'idea che i concetti non sono etichette di oggetti (oggetti logici, estetici, matematici, etici, religiosi) ma sono, come ha osservato Cora Diamond, «organizzatori di discorsi».[6]
  • Poiché non c'è un mondo da rispecchiare, e non esiste alcuna certezza da riflettere alla quale appellarsi, viene meno il compito della letteratura come descrizione, in quanto si potrebbe dire che nel caso di Bernhard non c'è un mondo da descrivere ma un'esistenza da criticare.[7]

Note

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  1. Dalla premessa a La frase infinita; in L'arte di esistere contro i fatti, Lamantica, 2017.
  2. Da Il sapere senza fondamenti, p. IX.
  3. Da La frase infinita. Thomas Bernhard e la cultura austriaca, Laterza, Roma-Bari, 1990, p. IX.
  4. Da Atque, n. 25-26, giugno 2002-maggio 2003, pp. 27-28.
  5. Da Wittgenstein. Dalla verità al senso della verità, Ed. Plus, Pisa, 2003, pp. 154-156.
  6. Da Atque, n. 25-26, giugno 2002-maggio 2003, pp. 30-31.
  7. Citato in Alice Gardoncini, Una sublime irritazione. Thomas Bernhard e il problema della rappresentazione, Comparative Studies in Modernism, n. 8, 2016, p. 143.

Bibliografia

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  • Aldo Gargani, Il sapere senza fondamenti. La condotta intellettuale come strutturazione dell'esperienza comune, Einaudi, Torino, 1975 (Mimesis, Milano, 2009).
  • Aldo Gargani, La frase infinita. Thomas Bernhard e la cultura austriaca, Laterza, Roma-Bari, 1990.

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