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Terremoto Amatrice, cemento scadente e pochi pilastri: così crollarono le case popolari- Corriere.it
9 febbraio 2021 - 20:04

Terremoto Amatrice, cemento scadente e pochi pilastri: così crollarono le case popolari

Le motivazioni della sentenza sul sisma del 2016 in cinquecento pagine del giudice Sabatini. «Nessuno si preoccupò di salvaguardare vite umane» dice l’avvocato delle parti civili

di Ilaria Sacchettoni

Terremoto Amatrice, cemento scadente e pochi pilastri: così crollarono le case popolari
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Un crollo prevedibile, quello delle case popolari di Piazza Sagnotti ad Amatrice. Lo scrive il giudice Carlo Sabatini nelle cinquecento pagine di motivazioni alla sentenza di settembre scorso, quella che ha visto condannati (con pene fino ai nove anni di carcere) Ottaviano Boni, Luigi Serafini, Franco Aleandri, Maurizio Scacchi e Corrado Tilesi per la morte di 40 persone sotto alle macerie in seguito alla scossa del sisma dell’agosto 2016. Sabatini condivide l’impostazione del pubblico ministero Rocco Gustavo Maruotti che aveva accusato tecnici e progettisti delle palazzine gemelle ai civici 5 e 6 di piazza Sagnotti per la strage avvenuta la notte del terremoto.

«Si ritiene che il crollo sia da ipotizzare in primis a difetti di progettazione» scrive il giudice che elenca una ad una tutte le anomalie dei fabbricati. A partire dal fatto che i pilastri reggenti erano in numero inferiore a quanto richiesto dal progetto, vale a dire 17 anziché 23. Inoltre queste colonne portanti risultavano non calcolate «per tutte le direzioni di possibile ingresso del sisma e per le azioni a taglio». Inadatte alle aree sismiche in parole povere. Altra ragione del crollo riguarda la fragilità dell’armatura, sorretta da «ferri del diametro di dieci centimetri».

Ma oltre alle carenze progettuali ci sono anche quelle esecutive: «la carente piegatura dei ferri necessaria secondo le buone tecniche costruttive , la mancanza di uno dei ferri posizionati sul lato trasversale e l’utilizzo di cemento scadente o comunque di qualità inferiore a quello di progetto». Un progetto eseguito al risparmio insomma che pregiudicò la stabilità degli edifici tirati su. Sabatini sottolinea come non vi fossero margini per interpretazioni e variazioni progettuali: «Negli anni ‘70 (quando furono edificate le palazzine, ndr) vigeva in pieno la normativa prescrittiva in cui era lo Stato a fissare dei parametri e chiedeva al progettista semplicemente di attenersi non lasciandogli margine per elaborare modelli prestazionali»

Infine «ulteriore concausa dell’evento» sono state le omissioni nelle procedure di verifica delle opere da parte dei pubblici funzionari «che avrebbero potuto e dovuto rilevare i difetti». Così non fu fatto, anzi ci si preoccupò di «mettere a posto le carte» cioè di mettere a tacere eventuali problemi che fossero sorti. Dice oggi l’avvocato Wania Della Vigna che assiste le parti civili: «Nessuno si curò della salvaguardia della vita umana. Si può affermare che quelle morti potevano e dovevano essere evitate».

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