Si sta facendo tutto il possibile per impedire che il virus dell’influenza aviaria dilaghi nei mammiferi e contagi l’uomo per dare inizio quella che viene considerata la prossima possibile pandemia? Probabilmente no, anzi gli scienziati statunitensi continuano a mettere in guardia le autorità,anche perché i necessari test per monitorare i contagi incontrano molti ostacoli. Gli allevatori non danno il benvenuto ai funzionari dei Cdc (Centers for Disease Control and Prevention) incaricati dei controlli e sono costretti a cooptare veterinari locali e garantire l’anonimato (linkare l’articolo di Festa viaria, in Usa gli allevatori contro i controlli nelle fattorie).

In un nuovo articolo su Nature – che già nei giorni scorsi aveva pubblicato un articolo sul pericolo dell’endemizzazione nei bovini, si evidenzia come i ricercatori temano che la raccolta e la comunicazione insufficiente dei dati stiano ostacolando gli sforzi per valutare la portata dell’epidemia di influenza aviaria nel bestiame americano e potrebbero frenare gli sforzi per tenere il virus sotto controllo .

L’allarme degli scienziati – “Non stiamo facendo abbastanza”, afferma a Nature Isabella Eckerle, direttrice del Centro di Ginevra per le malattie virali emergenti in Svizzera. Per ora, il ceppo del virus dell’influenza è ben lungi dall’essere in grado di trasmettersi facilmente da e tra gli esseri umani . “Ma nel momento in cui ciò accadrà, sarà un’emergenza”. Per ora, il ceppo virale che infetta le mucche, chiamato H5N1, preferisce ancora legarsi al recettore che utilizza per infettare gli uccelli. Questo recettore non è comune nelle vie aeree superiori delle persone, afferma Thomas Peacock, virologo dell’Imperial College di Londra. Ma il virus ha acquisito alcuni cambiamenti che lo rendono migliore nel creare copie del suo genoma nei mammiferi, “che è il primo gradino della scala pandemica”, afferma Peacock. L’adattamento ai recettori prevalenti negli esseri umani è “molti passi più avanti”. O almeno questa è la convinzione.

Le mucche “laboratorio per il virus” – Un nuovo studio condotto negli Stati Uniti e in Danimarca – pubblicato su BiorXiv quindi non sottoposto a revisione – però ipotizza che le mucche hanno un recettore per l’influenza uguale a quello degli esseri umani e di alcuni uccelli: questo fa temere agli scienziati che le mucche contagiate fungano da sorta di ‘provetta’ da laboratorio in cui il virus H1N5 impara a mutare in modo da riuscire a fare il salto di specie, in modo da contagiare le persone

Intervistato alla Cnn lo scienziato danese Lars Larsen, professore di Microbiologia clinica veterinaria all’Università di Copenaghen ha offerto la sua riflessione sul contagio. Nei mammiferi, l’influenza infetta tipicamente i polmoni. Nei gatti può anche infettare il cervello. “Qui vediamo un’enorme quantità di virus nelle mammelle e nel latte”, ha detto Larsen. Del virus ci si è accorti perché le mucche avevano mastite e producevano latte di bassa qualità. Il ricercatore a affermato che la concentrazione del virus H5N1 nel latte delle mucche infette è 1.000 volte superiore a quella normalmente osservata negli uccelli infetti. Ha detto che lui e i suoi colleghi hanno calcolato che anche se il latte di una singola mucca infetta fosse diluito in 1.000 tonnellate di latte, gli scienziati sarebbero comunque in grado di rilevare tracce del virus nei test di laboratorio.

Fino a poco tempo fa, nessuno sapeva che tipo di recettori dell’acido sialico avessero le mucche, perché si credeva che non contraessero virus influenzali di ceppo A come l’H5N1. Il team di scienziati danesi e statunitensi hanno analizzato i campioni di tessuto dai polmoni, dalla trachea, dal cervello e dalle ghiandole mammarie di vitelli e mucche e li hanno colorati con composti che sapevano si sarebbero attaccati a diversi tipi di recettori dell’acido sialico e li hanno osservati al microscopio.

Ciò che hanno visto è stato sorprendente: le minuscole sacche delle mammelle erano piene di recettori dell’acido sialico e avevano sia il tipo di recettori associati agli uccelli che quelli più comuni nelle persone. Quasi ogni cellula esaminata conteneva entrambi i tipi di recettori, ha dichiarato alla Cnn l’autrice principale dello studio, la scienziata Charlotte Kristensen, ricercatrice post-dottorato in Patologia veterinaria presso l’Università di Copenaghen.

Una lentezza che potrebbe costare cara – Il comportamento del virus e la lentezza dei controlli o il mancato monitoraggio quindi potrebbe costare molto caro, anche perché il virus ha già dimostrato di aver fatto un doppio salto di specie e il passaggio dalle mucche all’uomo potrebbe essere in corso senza che nessuno se ne sia già accorto. Quasi 50 mandrie di bovini da latte in 9 stati degli Stati Uniti hanno avuto casi confermati di H5N1 e una persona infetta è stata collegata all’epidemia. Ma i numeri reali sono probabilmente molto più alti, dicono gli scienziati. “Ci sono stati quasi certamente molti più casi umani oltre a quello solo” ragiona Peacock riferendosi all’infezione rilevata in un lavoratore a inizio aprile.

Le informazioni su come e dove il virus si è diffuso sono importanti per preparare una risposta adeguata all’epidemia. Se l’epidemia non è diffusa e si muove lentamente, i funzionari della sanità pubblica potrebbero decidere di abbattere le mandrie colpite ed eradicare il virus nei bovini, afferma Eckerle. Ma se fosse troppo diffuso o in rapido movimento, potrebbero doversi rassegnare a una nuova realtà in cui i bovini sono un serbatoio di H5N1, e concentrarsi sul limitare la diffusione del virus alle persone. “Non direi che sia troppo tardi” per decidere tra queste due strade, afferma la scienziata ma “abbiamo bisogno di dati”.

Lo studio su Biorxiv

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