Sultanato di Adal

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Sultanato di Adal
Sultanato di Adal – Bandiera
Dati amministrativi
Lingue parlateafar, arabo, harari, ge'ez, somalo, arabo
CapitaleZeila
Altre capitaliDakkar, Harar
Politica
Forma di Statomonarchia
Nascita1415
Fine1559
Territorio e popolazione
Il sultanato di Adal nel 1500
Evoluzione storica
Ora parte diGibuti, Eritrea, Etiopia, Somalia
Il sultano di Adal e le sue truppe in battaglia contro il Re Yagbea-Sion e i suoi uomini. Da Le Livre des Merveilles del XV secolo

Il Sultanato di Adal o anche Regno di Adal (in somalo:Saldaanada Cadal, Ge'ez: አዳል ʾAdāl, in arabo سلطنة عدل?) (circa 1415 - 1577) fu un regno medievale musulmano multietnico situato nel Corno d'Africa. Controllava gran parte dell'attuale Somalia, Etiopia, Gibuti ed Eritrea.

Storia

Costituzione

L'Islam fu introdotto presto nella regione del Corno d'Africa, tramite la penisola arabica, poco dopo l'Egira. La Moschea delle due qibla di Zeila risale al VII secolo ed è la più antica moschea della città[1]. Alla fine dell'800, al-Ya'qubi scrisse che i musulmani vivevano lungo la costa somala settentrionale[2]. Disse anche che il regno di Adal aveva la sua capitale nella città[2][3], suggerendo che il Sultanato di Adal, con Zeila come capitale, risaliva al IX o al X secolo. Secondo I.M. Lewis, il sistema politico era governato da dinastie locali, costituite da arabi somalizzati o da somali arabizzati, che crearono anche il Sultanato di Mogadiscio, nella regione di Benadir, a sud. La storia di Adal di questo periodo di fondazione fu caratterizzata dal susseguirsi di battaglie con la vicina Etiopia[3].

Adal è citato per nome per la prima volta nel XIV secolo, nel contesto delle battaglie tra musulmani della somalia settentrionale e del litorale degli Afar e le truppe cristiane del re abissino Amda Seyon I[4]. Adal originariamente aveva la sua capitale nella città portuale di Zeila, situata nell'omonima regione, nell'odierna Somalia nord-occidentale. Istituzionalmente, al tempo era un emirato, che faceva parte del più ampio Sultanato di Ifat, governato dalla dinastia Walashma.[5]

Dinastia Walashma

Nel 1332, il re di Adal fu ucciso durante una campagna militare, mentre cercava di fermare la marcia di Amda Seyon verso Zeila.[4] Quando l'ultimo sultano di Ifat, Sa'ad ad-Din II, fu anch'esso ucciso, dall'imperatore Dawit I di Etiopia, a Zeila, nel 1410, i suoi figli fuggirono nello Yemen, per poi ritornare solo nel 1415.[6] Nei primi anni del XIV secolo, la capitale di Adal fu spostata verso l'interno, nella città di Dakkar, dove Sabr ad-Din II, il figlio maggiore di Sa'ad ad-Din II, formò una nuova amministrazione, una volta tornato dallo Yemen.[5][1] Durante questo periodo, Adal emerse come centro della resistenza islaica contro l'espansionismo del cristiano impero etiope.[5]

Dopo il 1468, una nuova generazione di governanti emerse sulla scena politica di Adal. I dissidenti si opposero alle regole dei Walashma, a causa di un trattato che il sultano Muhammad ibn Badlay aveva firmato con l'imperatore etiope Baeda Maryam, in cui Badlay accettò di pagare un tributo annuale. L'accordo fu accettato per raggiungere la pace nella regione, nonostante l'omaggio non sia mai stato inviato. Gli emiri di Adal, che amministravano le province, interpretarono l'accordo come un tradimento della loro indipendenza e come un'inversione della politica di lunga data di resistenza alle incursioni abissine. Il leader principale dell'opposizione fu l'emiro di Zeila, la provincia più ricca del sultanato. Come tale, era tenuto a pagare la quota più elevata del tributo annuale da dare all'imperatore etiope. L'emiro Laday Usman successivamente marciò su Dakkar e prese il potere nel 1471. Tuttavia, Usman non destituì il sultano dalla carica, ma gli diede una posizione cerimoniale, pur mantenendo per sé il vero potere. Adal venne così a trovarsi sotto la guida di un potente emiro, che governò dal palazzo di un sultano simbolico.[7]

Gli eserciti di Adal, sotto la guiad dei governanti come Sabr ad-Din II, Mansur ad-Din, Jamal ad-Din II, Shams ad-Din e il generale Mahfuz, successivamente, continuarono la lotta contro l'espansionismo etiope.

L'emiro Mahfuz, che avrebbe combattuto contro i successivi imperatori, causò la morte dell'imperatore Na'od nel 1508, ma fu a sua volta ucciso dalle forze dell'imperatore Dawit II, nel 1517. Dopo la morte di Mahfuz, iniziò una guerra civile per ottenere la carica di Alto Emiro di Adal. Cinque emiri salirono al potere in solo due anni. Ma, alla fine, un leader maturo e potente, chiamato Garad Abuun Addus (Garad Abogne) assunse il potere. Quando Garad Abogne era al potere, fu sconfitto e ucciso dal sultano bu Bakr ibn Muhammad e, nel 1554, su sua iniziativa, Harar divenne la capitale di Adal. Questa volta non solo i giovani emiri si ribellarono, ma l'intero paese di Adal si sollevò contro il sulatno Abu Bakr, poiché Garad Abogne era amato amato dalla popolazione del sultanato. Molte persone andarono ad unirsi alle forze del giovane imam Ahmad ibn Ibrahim al-Ghazi, che pretese di vendicare Garad Abogne. Al-Ghazi assunse il potere ad Adal nel 1527, ma non rimosse il sultano, lo lasciò con un ruolo nominale. Ma, quando Abu Baker provò ad attaccarlo nuovamente, con le sue forze, Ahmad ibn Ibrahim lo uccise e lo sostituì col fratello Umar Din.[8]

Nel XVI secolo, Adal organizzò un esercito efficace, guidato dall'imam Ahmad ibn Ibrahim al-Ghazi, che invase l'impero etiope.[5] Questa campagna è storicamente conosciuta come la Conquista dell'Abissinia o Futuh al Hamash. Durante la guerra, Ahmed aprì la strada all'uso dei cannoni, forniti dall'impero Ottomano, che furono schierati contro le forze della dinastia solomonica e i loro alleati portoghesi, guidati da Cristoforo da Gama. Alcuni studiosi sostengono che in tale conflitto si sia rivelato, tramite l'uso su entrambi i lati, il valore delle armi da fuoco, come il moschetto a miccia, i cannoni e l'archibugio, rispetto alle armi tradizionali.[9]

Sultani di Adal

Nome Regno Note
1 Sulṭān SabiradDīn SaʿadadDīn 1415 - 1422
2 Sulṭān Mansur SaʿadadDīn 1422 - 1424
3 Sulṭān JamaladDīn SaʿadadDīn 1424 - 1433
4 Sulṭān AḥmedudDīn "Badlay" SaʿadadDīn 1433 - 1445
5 Sulṭān Maḥamed AḥmedudDīn 1445 - 1472
6 Sulṭān ShamsadDin Maḥamed 1472 - 1488
7 Sulṭān Maḥamed ʿAsharadDīn 1488 - 1518
8 Sultan Maḥamed Abūbakar Maḥfūẓ 1518 - 1519
9 Sulṭān Abūbakar Maḥamed 1518 - 1526
10 Garād Abūn ʿAdādshe 1519 - 1525
11 Sulṭān ʿUmarDīn Maḥamed 1526 - 1553
12 Sulṭān ʿAli ʿUmarDīn 1553 - 1555
13 Sulṭān Barakat ʿUmarDīn 1555 - 1559

Etnia

I governanti del precedente Sultanato di Showa e i principi Walashma di Ifat e di Adal possedevano tutti tradizione genealogiche arabe.[10]

Durante il periodo iniziale di Adala, quando era centrale l'importanza della città di Zeila, nella zona dell'odierna Somalia nordoccidentale, il regno era composto principalmente da somali, afar e arabi.[11]Esiste un certo dibatti sulla composizione etnica di Adal dopo il trasferimento della sua capitale nell'odierna Etiopia. I.M. Lewis afferma:

«le forze somale contribuirono significativamente alle vittorie degli Imam. Shihab ad-Din, il cronista musulmano del periodo, scrivendo tra il 1540 e il 1560, ne parla spesso. I gruppi somali più importanti nelle campagne militari erano i Samaroon o Gadabursi, i Geri, i Marrehan, i Harti e tutti i clan Darod. Shihab ad-Din è molto vago in merito alla loro distribuzione geografica e alle aree usate per il pascolo, ma afferma che gli Harti al tempo possedessero l'antico porto orientale di Mait. Dell'Isq, solo il clan Habar Magadle sembrava essere stato coinvolto e la sua distribuzione non è nota. Infine, presero parte alle campagne anche diversi clan Dir.[12]»

Questa scoperta è supportata nel più recente Oxford History of Islam:

«il sultanato di Adal, che emerse come principale principato musulmano tra il 1420 e il 1560, sembra avere assunto le sue forze militari prevalentemente tra i somali.[13]»

Lewis, d'altra parte, osserva che le origini degli Imam di Adal sono sconosciute.[14] Ewal Wagner collega il nome Adal con la tribù Dankali (Afar) Ada'ila e con il nome somalo del clan Oda 'Ali, proponendo che il regno potrebbe essere stato in gran parte composto di afar.[15] Anche se gli afar costituirono una parte significativa di Adal, Didier Morin osserva che "l'influenza esatta degli afar nel regno di Adal è ancora congetturale, per la sua base multietnica."[15] Tuttavia, Franz-Christoph Muth identifica Ahmad ibn Ibrahim al-Ghazi come somalo.[16]

Lingua

Si ritiene che nel sultanato di Adal la popolazione abbia parlato diverse lingue del ceppo afro-asiatico. Secondo lo storico del XIV secolo Al-Umari, il popolo di Ifat parlava "abissino e arabo". J.D. Fage suggerisce che l'abissino di quest'affermazione denotasse un linguaggio etiope-semitico.

Tuttavia, lo storico etiope del XIX secolo Asma Giyorgis afferma che i Walashma parlavano arabo, simile alla lingua ge'ez.

Data l'estrazione etnica di molti governanti di Adal, di soldati e di altri componenti della società, il somalo, altra lingua afro-asiatica, fu molto probabilmente la lingua della maggioranza del regno.

Note

  1. ^ a b Philipp Briggs, Somaliland, Bradt Travel Guides, 2012, p. 7, ISBN 1841623717.
  2. ^ a b http://books.google.ca/books?id=OP5LAAAAMAAJ, Americana Corporation, 1965, p. 255.
  3. ^ a b Peoples of the Horn of Africa: Somali, Afar and Sahop, International African Institute, 1955, p. 140.
  4. ^ a b M. Th. Houtsma, E.J. Brill's First Encyclopaedia of Islam, 1913–1936, pp. 125-126, ISBN 9004082654.
  5. ^ a b c d M.I. Lewis, A Pastoral Democracy: A Study of Pastoralism and Politics Among the Northern Somali of the Horn of Africa, James Currey Publishers, 1999, p. 17, ISBN 0852552807.
  6. ^ Somaliland, su mbali.info.
  7. ^ John Trimingham, Islam in Ethiopia, Oxford, Oxford University Press, 2007.
  8. ^ J.D. Fage, The Cambridge History of Africa: From c. 1050 to c. 1600, Cambridge University Press, 2007.
  9. ^ Jeremy Black, Cambridge Illustrated Atlas, Warfare: Renaissance to Revolution, 1492–1792, Cambridge University Press, 1996, p. 9.
  10. ^ M. Elfasi & Ivan Hrbek, Africa from the Seventh to the Eleventh Century, General History of Africa, vol. 3, UNESCO, 1988, pp. 580-582, ISBN 9231017098.
  11. ^ David Hamilton Shinn & Thomas P. Ofcansky, Historical Dictionary of Ethiopia, Scarecrow Press, 2004, p. 5, ISBN 0810849100.
  12. ^ I. M. Lewis, "The Somali Conquest of Horn of Africa," The Journal of African History, Vol. 1, No. 2. Cambridge University Press, 1960, p. 223.
  13. ^ John L. Esposito, editor, The Oxford History of Islam, (Oxford University Press: 2000), p. 501
  14. ^ Lewis, The Somali Conquest of the Horn of Africa, p. 223.
  15. ^ a b Siegbert Uhlig, Encyclopaedia Aethiopica, Wiesbaden: Harrassowitz Verlagp, 2003, p. 71.
  16. ^ Siegbert Uhlig, Encyclopaedia Aethiopica, Wiesbaden: Harrassowitz Verlag, 2003, p. 155.
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