Zen
Con il termine zen (
Etimologia del termine zen
[modifica | modifica wikitesto]Zen è la pronuncia nipponica del carattere cinese
Questo termine è dunque un prestito linguistico dalla lingua cinese media, e fu utilizzato fin dalla prima introduzione del buddismo in Cina per rendere foneticamente il termine sanscrito dhyāna ("visione") che nell'insegnamento del Buddha indicava i graduali stati di coscienza caratterizzati da profonda comprensione che scaturiscono dall'esercizio del samādhi, ossia la concentrazione meditativa raggiunta con la meditazione di calma (Śamatha, in giapponese shi, "stare fermi") e anche con quella di consapevolezza (Vipassana, in giapponese kan, "contemplare"), da cui la meditazione seduti praticata nel chán/zen (ma anche nel Tendai), shikan/shikantaza ("sedere in shikan")[1], definita poi, nelle scuole zen giapponesi, nella tipica postura dello zazen ("sedere in zen").[2][3]
In seguito la parola dhyana, in diverse forme composte, qui sempre restituite in cinese come chánsēng (
Origini e diffusione
[modifica | modifica wikitesto]Le scuole del buddismo zen derivano per linguaggi, dottrine e testi (anche se con delle specifiche evoluzioni) da quelle del buddismo Chán fondato in Cina dal leggendario monaco indiano Bodhidharma, che faceva risalire il proprio lignaggio direttamente al Buddha, tramite il discepolo Mahākāśyapa. Furono trasferite nell'arcipelago giapponese da monaci Tendai di ritorno dai loro viaggi in Cina. Oppure, successivamente, trasferite da monaci cinesi missionari in Giappone. L'introduzione del buddismo zen, come scuola autonoma, in Giappone ha avuto un processo piuttosto sofferto. Tali difficoltà non si riscontrarono tanto nel trasferimento di dottrine, testi e lignaggi quanto piuttosto nel rendere autonomo lo zen dalla scuola Tendai.
Il primo lignaggio zen: Saichō e la scuola Gozu (Rinzai)
[modifica | modifica wikitesto]Saichō (767-822), il fondatore del buddismo Tendai, introdusse nel IX secolo in Giappone anche gli insegnamenti del buddismo Chán Beizōng (
Eisai, Dainichi Nōnin, Enni Ben'en e la scuola Rinzai
[modifica | modifica wikitesto]Nel XII secolo, il monaco tendai Eisai (1141-1215) studiò il Chán durante il suo secondo soggiorno in Cina, sotto la guida del maestro Xuan Huaichang (
L'arrivo dei maestri cinesi e la fondazione dei primi templi zen
[modifica | modifica wikitesto]Se neanche Enni Ben'en si distaccò dalla scuola Tendai, il fatto che ricoprisse il ruolo di abate del prestigioso monastero Tōfuku-ji (
Dōgen e i primi lignaggi autonomi dal Tendai
[modifica | modifica wikitesto]Nello stesso periodo, un altro monaco tendai nonché discepolo di Eisai, Dōgen (1200-1253), anche lui di ritorno dalla Cina dove aveva studiato sul Monte Tiantong (
La diffusione dello zen in Occidente
[modifica | modifica wikitesto]È difficile stabilire quali siano stati i primi approfonditi contatti tra occidentali e il buddismo zen. I flussi di immigrazione ed emigrazione tra i diversi continenti avviatisi in modo massiccio sul finire del XIX secolo hanno consentito lo scambio di idee e culture non solo materiali. Il primo episodio di conversione formale di un occidentale al buddismo zen lo si registra tuttavia nel 1906 quando la moglie di Alexander Russel avvia la prima pratica formalmente registrata di zazen e kōan con il maestro zen giapponese Shaku Sōyen (
In Europa va ricordata l'opera del monaco di scuola Soto, Taisen Deshimaru (1914-1982), allievo di Kōdō Sawaki Rōshi, che fu tra i primi, sul finire degli anni sessanta a Parigi, a raccogliere intorno alla sua figura discepoli europei molti dei quali poi ordinati monaci, come gli italiani Fausto Taiten Guareschi[10] e Massimo Daido Strumia[11]. Oltre a Deshimaru, altri studenti di Sawaki, che viaggiavano spesso e fondarono dei sangha in Europa e in Occidente, furono Kōshō Uchiyama, Yokoyama Sodō, Gudō Wafu Nishijima (che nominò come suo successore il musicista e monaco laico statunitense Brad Warner) e Watanabe Kōhō.
Le scuole del buddismo zen
[modifica | modifica wikitesto]Le scuole del buddismo zen, pur con delle differenze, conservano tutte la centralità della pratica meditativa denominata zazen (
Scuola zen Rinzai
[modifica | modifica wikitesto]La scuola Rinzai deriva dalla denominazione Línjì (臨済) del buddismo Chán. Il primo a trasferire dottrine e lignaggi di questa scuola fu il monaco giapponese Eisai, di scuola Tendai, di ritorno dal suo secondo viaggio in Cina. Dopo essere stata a lungo inglobata nella scuola Tendai, lo zen Rinzai divenne una scuola autonoma a partire dal XIII secolo. Questa separazione si realizzò proprio grazie ai maestri cinesi di scuole chán línjì (臨済), Lánxī Dàolóng, fondatore, nel 1253, del monastero Kenchō-ji a Kamakura; Wùān Pǔníng, abate del tempio Kennin-ji a Kyoto; Dàxiū Zhèngniàn che fondò il monastero Kinpōzan Jōchi-ji a Kamakura; infine Wúxué Zǔyuán che fu l'abate del monastero Engaku-ji a Kamakura. Questi maestri, che furono per lo più invitati dalle autorità di governo giapponese, insegnarono lo zen Rinzai con le relative dottrine e pratiche esattamente come era impartito nella Cina del XIII secolo. Con gli shōgun Ashikaga lo zen Rinzai ottenne ulteriori riconoscimenti e protezioni da parte del governo. Dopo aver subìto influenza dalla scuola zen Obaku, fu riformata da Hakuin Ekaku (
Scuola zen Sōtō
[modifica | modifica wikitesto]La scuola Sōtō fu fondata dal monaco tendai Dōgen (
Scuola zen Fuke
[modifica | modifica wikitesto]La scuola Fuke origina da un movimento di ex samurai itineranti denominati komusō (
Scuola zen Ōbaku (黃檗宗 , Ōbaku shū)
[modifica | modifica wikitesto]La scuola zen Ōbaku è una delle tre scuole zen esistenti oggi in Giappone. La sua nascita la si deve al monaco cinese chán di tradizione Línjì (臨済), Yǐnyuán Lóngqí (
I fondamenti dello zen
[modifica | modifica wikitesto]La dottrina buddista zen si fonda, come lo stesso buddismo Chán da cui strettamente deriva, sul rifiuto di riconoscere autorità alle scritture buddiste (sutra). Questo non significa che lo zen rigetti le scritture buddiste. Anzi, alcune di esse come il Sutra del Cuore della Grande Saggezza, il Vimalakīrti Nirdeśa Sūtra o lo stesso Laṅkāvatārasūtra, sono spesso utilizzate durante le funzioni religiose e nella formazione dei discepoli. Dōgen zenji (
«Il Sutra del Loto è il re dei sutra: riconoscetelo come il vostro grande maestro. Comparato a questo sutra tutti gli altri si pongono soltanto come suoi contenuti, perché esso soltanto esprime la Verità ultima. Gli altri presentano soltanto insegnamenti provvisori, non le vere intenzioni del Buddha.»
L'unica autorità che il buddismo zen riconosce e su cui fonda il proprio insegnamento è tuttavia la particolare esperienza che viene indicata come
«Essentially Satori is a sudden experience, and it is often described as a ‘turning over’ of the mind, just as a pair of scales will suddenly turn over when a sufficient amount of material has been poured into one pan to overbalance the weight in the other.»
«Il satori è essenzialmente un’esperienza improvvisa, e spesso viene descritto come un capovolgimento della mente, proprio come improvvisamente ruota l’asse della bilancia quando mettiamo nel piatto un peso superiore a quello dell’altro piatto.»
Lo zen evita la speculazione intellettuale e si distingue anche dalle altre scuole buddiste mahāyāna per aver reso centrale la pratica meditativa (zazen) nelle sue forme di shikantaza (meditazione sul respiro, la mente e la vacuità, effettuata da seduti) o accompagnata dallo studio dei kōan.
Il Buddismo Zen non ritiene necessario lo studio delle scritture buddiste, perché secondo questa filosofia, il modo più efficace per raggiungere l'illuminazione è la meditazione profonda volta a una visione più chiara e lucida di sé stessi. Lo studio (da sutra, libri e commentari) può però essere considerata da molti praticanti dello zen una grande risorsa per imparare di più sulle dottrine buddiste e la storia del culto.
L'importanza dello zazen e di non fraintenderlo è stata trattata da diversi maestri in molti koan e storie zen, ad esempio:
«Maestro Nangaku si recò dal maestro Baso e chiese: «Adesso, grande monaco, quale la sua intenzione nel praticare zazen?» Baso Do-itsu rispose: «Voglio diventare un buddha». Nangaku Ejo afferrò un pezzo di tegola e si mise a levigarla su una pietra davanti alla capanna di Baso. Baso Do-itsu disse: «Maestro! Cosa sta facendo?» Nangaku Ejo rispose: «Sto levigando questa tegola per farne uno specchio». Baso Do-itsu disse: «Come mai si potrebbe fare uno specchio con una tegola?» Nangaku Ejo rispose: «Come mai si potrebbe fare di sé un buddha praticando zazen»? Baso Do-itsu rispose: «Cosa bisogna fare, allora?» Nangaku Ejo disse: «Quando un uomo viaggia in vettura, se la vettura non va avanti, cosa deve fare? Picchiare la vettura, o picchiare i buoi che la trascinano?» Baso Do-itsu rimase senza risposta. Nangaku Ejo insegnò in più: «Imparare zazen è imparare che sei un buddha in zazen. Quando si impara zazen, è diverso dal comportamento quotidiano come sedere o coricarsi. Eppure, quando si impara di essere un buddha in zazen, quel buddha sta al di là di ogni forma fissa».»
Gudō Wafu Nishijima così spiegò questo passo:
«Questo koan è abitualmente interpretato nel senso che non è possibile diventare un buddha unicamente con la pratica di zazen. Ma l'interpretazione di maestro Dogen era diversa assai. Egli attacca proprio l'idea del diventare intenzionalmente. Quando ci si siede in zazen, si è già un buddha. Non è possibile ri-diventare un buddha che già si è. Il levigare non è il fabbricare uno specchio, è solo l'atto di levigare - è l'azione di un buddha.[16]»
Molti maestri chán/zen (ad esempio Línjì Yìxuán o Ikkyū Sōjun) si caratterizzarono anche per la loro iconoclastia, volta a scardinare le convenzioni religiose e le rigidità mentali a queste sottese[17]. Collegate allo zen è possibile inoltre trovare numerose pratiche appartenenti a campi eterogenei. Origine e fondamento delle arti e della cultura, lo zen ispirò la poesia (haiku), la cerimonia del tè (cha no yu o chadō), l'arte di disporre i fiori (ikebana), l'arte della calligrafia (shodō), la pittura (zen-ga), il teatro (Nō), l'arte culinaria (zen-ryōri, shojin ryōri, fucha ryōri) ed è alla base delle arti marziali (es. aikidō, karate, jūdō), dell'arte della spada (kendō) e del tiro con l'arco (kyūdō).
Principali monasteri zen in Giappone
[modifica | modifica wikitesto]- zen Rinzai
- Kencho-ji - Kenchojiha - 8, Yamanouchi, Kamakura-shi, Kanagawa
- Nanzenji - Nanzenjiha - Nanzenji, Fukuchi-cho, Sakyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto
- Daitoku-ji - Daitokujiha - 53, Murasakino, Daitokuji-machi, Kitaku, Kyoto-shi, Kyoto
- Myōshin-ji - Myōshinjiha - 64, Hanazono, Myōshinji-machi, Ukyo-ku, Kyoto-shi, Kyoto
- zen Sōtō
- zen Ōbaku
- Mampuku-ji - Ōbakushū - Gokanosho, Uji-shi, Kyoto
Note
[modifica | modifica wikitesto]- ^ Zhìyǐ. Tóngméng Zhǐguān
- ^ Watanabe Toshirō (
渡邊 敏郎 ), Edmund R. Skrzypczak, and Paul Snowden, eds. (2003), Kenkyusha's New Japanese-English Dictionary (新和 英 大 辞典 ), 5th edition, Kenkyusha, p. 1125. - ^ Fischer-Schreiber, Ingrid; Schuhmacher, Stephan; Woerner, Gert (1989). The Encyclopedia of Eastern Philosophy and Religion: Buddhism, Hinduism, Taoism, Zen, p, 321
- ^ Il pensiero di Dainichi Nōnin, riportato nell'opera del suo allievo Kakuan (
覚 晏), lo Shin'yō teiji (心 要 提示 ), influenzerà profondamente la successiva opera di Dōgen che, tuttavia, accuserà, insieme ad Eisai, Dainichi Nōnin di "contraddizione" in quanto se da una parte aveva rigettato le pratiche esoteriche (mikkyō) del Tendai in favore delle dottrine Chán, dall'altra aveva anche rifiutato la pratica meditativa, aspetto principale del Chán cinese. - ^ La ragione di non essersi recato lui di persona in Cina e di non aver quindi ricevuto direttamente il lignaggio fece sì che questo non venne mai riconosciuto in Giappone.
- ^ Autore dello Zhèngfǎyǎn zàng (
正法 眼 藏 , giapp. Shōbōgenzō) conosciuto come lo Shōbōgenzō cinese. - ^ Solo un gruppo di suoi seguaci resistette nel monastero Tendai Hajaku-ji, nella remota provincia dei Echizen (oggi Prefettura di Fukui), fino al 1241 quando aderiranno alla scuola Sōtō fondata da Dōgen.
- ^ Costruito nel 1236 secondo i voleri di Fujiwara Michiie, patrono Enni Ben'en, come luogo di pratica Tendai, Shingon e Zen, divenne presto un tempio della scuola Zen Rinzai e risulta oggi il tempio Zen più antico del Giappone.
- ^ Oltre a queste personalità occorre ricordare che nello stesso periodo operavano Shinchi Kakushin (
心地 覺 心 , 1207–1298), che introdusse in Giappone una delle più importanti collezioni di gong'an cinesi, il Wúmén guān (無 門 關 , giapp. Mumon kan, Il passo di frontiera di Wumen, raccolta di quarantotto gong'an della scuola Chán, T.D. 2005.48.292c-299c, composto nel 1228 in 1 fascicolo da Wumen Huikai,無 門 慧 開 , 1183-1260), e Nampo Jōmin (南浦 紹明, conosciuto anche come Daiō Kokushi, 1235–1308), che ricevette il lignaggio dal maestro Xūtáng (虛 堂 , 1185–1269) e da cui si sviluppò il monastero Zen Rinzai Daitoku-ji (大徳寺 ). - ^ Tradizione del Monastero Fudenji, su fudenji.it.
- ^ Lignaggio dell'En ku Dojo, su ilcerchiovuoto.it.
- ^ Il carattere
心 (xīn, xin primo tono) significa cuore (sanscrito: hṛd) ma, anticamente in Cina, si riteneva che questo fosse l'organo del pensiero e quindi significava anche mente pensante (sanscrito: citta); decisamente impropria è invece la traduzione occorsa in alcuni casi di "anima" o "essenza" (sanscrito: atman) è noto infatti che le scuole Chan, come tutte le scuole Mahayana, ne denunciano l'inconsistenza. - ^ Cfr., tra gli altri, James H. Sanford. Shakuhachi Zen: The Fukeshū/Komusō Monumenta Nipponica, Vol. 32, No. 4, Winter 1977, pp. 411-440.
- ^ Tokyo, Nakayama Shobo, 1983, 4, p.40
- ^ Il koan origina in realtà da un altro, più antico, in lingua cinese, cfr. John McRae, Seeing Through Zen. Encounter, Transformation, and Genealogy in Chinese Chan Buddhism, The University Press Group Ltd, 2003, p.81
- ^ Nishijima, Master Dogen's Shinji Shobogenzo, 2003
- ^
«By the middle of the ninth century, sensitized to the recursive danger of imposing a means-end structure on the relationship between Buddhist practice and Buddhist enlightenment, a significant number of Chan communities had adopted a critical and iconoclastic stance toward the gradualism of a Buddhist establishment that insisted on disciplined study and practice as a necessary precursor to expressing one’s own, originally enlightened and enlightening nature. This stance was graphically epitomized by Linji’s (d. 866) denunciation of Buddhist scriptures as “hitching posts for donkeys” and his fierce insistence that true practitioners must be ready even to “kill ‘Buddha’” en route to becoming “true persons of no rank,” responding to each situation as needed to improvise an enlightening turn in its dynamics.»
«But rather than turning to the historical Buddha as a model, he took the route of personally exemplifying the at times shocking capacity for relating freely that featured so prominently in the recorded encounter dialogues and kōans attributed to such Tang dynasty Chan masters as Mazu, Huangbo, and Linji. In turn dismayed and angered by what he saw as the decadent aestheticism and almost fetishistic desire for power that shaped life in both gozan and rinka temples, Ikkyū came to feel a special kinship with Linji and his iconoclastic disdain for convention. But whereas Linji seems to have maintained a relatively uncontroversial monastic lifestyle, Ikkyū went well beyond rhetorical iconoclasm, making a shambles of both monastic and social convention.»
Bibliografia
[modifica | modifica wikitesto]- Giuseppe Jiso Forzani. I Fiori del Vuoto. Introduzione alla filosofia giapponese. Torino, Bollati Boringheri, 2006
- Alan W. Watts. La via dello zen. New York, Feltrinelli, 2006, prima edizione 1957
- Susan Moon, Lo zen e l'arte di invecchiare bene,Terranova edizioni, 2011
- Helen J. Baroni. Obaku zen: The Emergence of the Third Sect of zen in Tokugawa Japan. Honolulu, University of Hawaii Press, 2000
- Gudō Wafu Nishijima, How to Practice Zazen (1976), con Joe Langdon
- Osho, Il manifesto dello zen. Libertà da sé stessi, 1998
- Eugen Herrigel, La via dello zen. Roma, Edizioni Mediterranee, 1993
- William M. Bodiford. Soto zen in Medieval Japan. Honolulu, University of Hawaii Press, 1993
- Heinrich Dumoulin. zen Buddhism: A History, Vol. 1-2: Japan. New York, Macmillan, 1990
- D.T. Suzuki. Saggi sul buddhismo zen (3 vol.). Roma, Edizioni Mediterranee, 1989
- Toshihiko Izutsu. "La filosofia del buddhismo zen". Roma, Ubaldini Editore, 1984
- N. Goldberg. Scrivere zen Ubaldini Editore, 1987
- D.T. Suzuki. Introduzione al buddhismo zen. Roma, Ubaldini Editori, 1970
- Nyogen Senzaki e Paul Reps, 101 storie zen, Piccola Biblioteca Adelphi, traduzione di Adriana Motti, Adelphi, 1973, pp. 112. ISBN 88-459-0160-2
- Max Deeg. Komuso and “Shakuhachi-zen”: From Historical Legitimation to the Spiritualisation of a Buddhist Denomination in the Edo Period, Japanese Religion 32 (1-2), 7-38, 2007
- Jørn Borup. Japanese Rinzai zen Buddhism: Myōshinji, a Living Religion, Brill 2008
- Heine, Steven, A Critical Survey of Works on zen since Yampolsky, Philosophy East & West Volume 57 (4), 577–592, 2007
- Jean Smith, 365 zen, traduzione di Tea Pecunia Bassani e Patrizia Spinato, Sonzogno, marzo 2000, ISBN 978-88-454-1870-9.
Voci correlate
[modifica | modifica wikitesto]- buddismo cinese
- buddismo Chán
- buddismo giapponese
- Sōtō-shū
- Rinzai-shū
- Eisai
- Eihei Dōgen
- Hakuin Ekaku
- Zazen
- Kōan
- Icone del bue
Altri progetti
[modifica | modifica wikitesto]- Wikiquote contiene citazioni sul zen
- Wikimedia Commons contiene immagini o altri file sul zen
Collegamenti esterni
[modifica | modifica wikitesto]- zen, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2010.
- (EN) William M. Bodiford, Zen, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.
- Sito ufficiale del Zen Sōtō shū, su global.sotozen-net.or.jp.
- (EN) Sito ufficiale del Joint Council for Japanese Rinzai and Ōbaku Zen, su zen.rinnou.net.
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